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Leggere l'anarchismo 3

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di Massimo Ortalli


Leggere l'anarchismo 3
La storia, le storie, il pensiero
(2009-2012)

Ed eccoci alla terza puntata di Leggere l’anarchismo, che comprende i libri pubblicati dal 2009 a tutto il 2012. Come si può vedere, la rassegna dei titoli è particolarmente ricca, a dimostrazione del fatto che l’interesse per le tematiche dell’anarchismo, intese in senso lato, non accenna affatto a diminuire. Anzi…! Sono infatti più di 250 i titoli inseriti in questo supplemento di «A Rivista anarchica», e molti, lo registro con piacere, di notevole qualità sia letteraria sia scientifica.
Sono numerose le tematiche prese in considerazione, alcune particolarmente affollate rispetto alle precedenti edizioni, altre che vedono invece ridursi notevolmente la varietà e la quantità dei titoli. Ma soprattutto va registrato come alcuni ambiti tematici, in particolare di carattere storico, registrino un inalterato interesse, e conseguentemente un significativo numero di titoli, nonostante il passare degli anni e l’accresciuta lontananza temporale.
Rispetto ad alcuni argomenti, mi preme segnalare che, a differenza delle due precedenti edizioni di Leggere l’anarchismo, ho scelto questa volta di inserire anche lavori di limitata diffusione e dal forte carattere militante, sia perché di particolare interesse, sia perché è stato soprattutto il movimento specifico a trattarne. Va detto, a questo proposito, che l’utilizzo sempre più frequente delle nuove tecnologie favorisce la pubblicazione di testi autoprodotti, fatti circolare non solo in versione cartacea ma anche via web.
È possibile che alcuni titoli mi siano sfuggiti (spero pochi), sia perché non ne ho ancora avuto conoscenza, sia perché non sono riuscito a prenderne visione, quindi mi riprometto di porvi rimedio in un prossimo, auspicabile, quarto numero di Leggere l’anarchismo.
Per finire, desidero esprimere la consapevolezza che, in non rarissimi casi, la mia interpretazione può rivelarsi soggettiva e, forse, anche non del tutto equilibrata. Lo ammetto, ma altrimenti dove sarebbe la libertà dell’autore?

Massimo Ortalli
massimo.ortalli@acantho.it


MALATESTA

C’è una costante nella produzione bibliografica sul movimento e il pensiero anarchico, e questa costante è Errico Malatesta. La presenza dell’anarchico campano, infatti, si ripresenta puntualmente e massicciamente a testimoniare l’importanza e la centralità di questo grande personaggio dell’anarchismo italiano e internazionale, che tanta parte ha avuto, più in generale, nella storia sociale dell’Otto e Novecento. Lo dimostra non solo la riproposta puntuale di alcuni suoi classici, ma soprattutto un progetto straordinario sia per l’ampiezza degli obiettivi sia per il rigore scientifico e l’accuratezza editoriale. Si tratta della pubblicazione in corso d’opera delle Opere complete di Malatesta, un piano editoriale in dieci volumi reso possibile grazie al prezioso e incessante lavoro dello studioso Davide Turcato. Lo sforzo congiunto di due editrici, Zero in Condotta di Milano e La Fiaccola di Ragusa, ha reso possibile l’uscita, nel 2011 e nel 2012, dei primi due volumi di tale progetto, “Un lavoro lungo e paziente…”. Il socialismo anarchico dell’Agitazione (1897-1898), arricchito dal denso saggio introduttivo di Roberto Giulianelli, e “Verso l’anarchia”. Malatesta in America 1899-1900, corredato dal saggio introduttivo di Nunzio Pernicone.
Davide Turcato sta raccogliendo, con la pazienza di chi deve cercare in mille rivoli sparsi per mezzo mondo, tutti gli scritti di Malatesta, dalle innumerevoli riedizioni degli opuscoli più famosi al breve trafiletto nascosto tra le pieghe di qualche numero unico apparso chissà quando e in quale paese. Insomma, tutti i testi editi firmati o ispirati da Malatesta, e tutti gli scritti che ne riportano gli interventi sparsi e d’occasione: i resoconti delle conferenze, le difese nei tribunali, gli echi dei suoi comizi e via dicendo. Come può capire chi conosce la vita e l’attività rivoluzionaria di Malatesta, si tratta di un lavoro infinito, che scoraggerebbe il ricercatore più determinato e che invece Turcato sta portando a compimento nel modo migliore, come già dimostra l’uscita di questi primi due volumi (che in effetti sono il terzo e il quarto secondo il piano cronologico dell’opera). Sono queste le ragioni per cui, contrariamente al taglio ormai tradizionale di queste tracce bibliografiche, ho deciso di dedicare uno spazio particolarmente ampio a questa pubblicazione, che rappresenta sicuramente una pietra miliare nel campo dell’editoria anarchica, accostabile ad altri lavori di carattere manualistico quali i repertori di Leonardo Bettini e il Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani. Con scelta coerente, il primo volume è dedicato alle pagine e agli anni dell’«Agitazione» anconetana, perché è su quelle pagine e nel contesto di quegli avvenimenti che la riflessione malatestiana, dopo un lungo processo intellettuale, acquisisce la sua definitiva maturità, portando gradualmente la parte più consistente del movimento anarchico di lingua italiana sulle posizioni dell’anarchismo sociale ed organizzatore ancora oggi così attuali. Il secondo volume, che raccoglie gli scritti apparsi su «La Questione Sociale» di Paterson, mostra come questa riflessione, evidenziata dall’aspra polemica con Ciancabilla e gli antiorganizzatori italoamericani, sia ormai giunta a un punto di non ritorno, sedimentandosi nella coscienza e nell’azione sociale di gran parte del movimento. Devo poi segnalare la cura redazionale e la bellissima veste grafica dei volumi, curata da Fuori Margine di Verona.

Errico Malatesta

Come si può immaginare, molti sono stati (e continueranno ad essere) i collaboratori di Turcato, ma va qui ricordato almeno Tomaso Marabini che, grazie alle sue capacità e competenze, ha contribuito per molti versi a rendere realizzabile questa opera.
Ma di Malatesta, come dicevamo, nell’intervallo di tempo trascorso dalla pubblicazione di Leggere l’anarchismo 2, sono uscite altre edizioni di testi già largamente presenti nell’editoria anarchica. Per quanto mi risulta, sono infatti ben cinque le nuove edizioni malatestiane. Nel 2009 la piccola editrice romana Edup ha pubblicato, in un unico volume della collana Le Murene, due testi fondamentali, L’Anarchia, uscito in prima edizione nel 1891, e Il nostro programma, fatto proprio dall’Unione Anarchica Italiana negli anni ’20 e ancora oggi base programmatica della Federazione Anarchica Italiana. Il Programma Comunista Anarchico Rivoluzionario è riprodotto anche nell’opuscolo edito nel 2012 dalla Organizzazione AnarcoComunista Napoletana, che in appendice riporta le Risoluzioni del Congresso di Saint Imier del 1872, i principi ispiratori dell’anarchismo che fa sempre bene rileggere e meditare.
La casa editrice di Camerano, in provincia di Ancona, Gwynplaine, con il titolo Dialoghi sull’anarchia, ripropone nel 2009, Fra contadini e Al caffé, i due famosi dialoghi che contribuirono, con le loro frequenti ristampe, a diffondere i principi base del pensiero anarchico. Accompagnano il volume una cronologia e una bibliografia curate da Orlando Micucci. È del 2010 la pubblicazione di un altro importante testo malatestiano, Programma e Organizzazione dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, uscito la prima volta sulle pagine della fiorentina «Questione Sociale» e solo oggi riproposto in una seconda edizione (la prima in forma di opuscolo) per le Edizioni della Mela Marcia di Roma, a cura di Franco Di Sabantonio. Come ricorda Giorgio Sacchetti nella introduzione, è dal 1884 che questo testo non rivedeva la luce, e le motivazioni di questo non casuale oblio vanno cercate nella progressiva evoluzione del pensiero malatestiano che da lì a poco avrebbe ampiamente rivisto e reso parzialmente superate le basi teoriche di tale scritto. Sempre nel 2010 l’editrice Ortica, di Aprilia, ripropone, in una edizione essenziale priva di apparato bibliografico, il dialogo sull’anarchia Fra contadini, pagine ancora fresche e attuali, nonostante siano state scritte più di cento anni or sono. Per finire, una ristampa de L’Anarchia è uscita nel 2011 per i tipi di Barbès Editore di Firenze. Corredato da una traccia biografica e dalla introduzione di Tommaso Gurrieri, questo piccolo capolavoro condensa, nelle sue ottanta pagine, non solo l’essenza del pensiero e del progetto anarchico, ma anche la profonda umanità che caratterizzò questa grande figura di rivoluzionario.
Un altro contributo alla bibliografia su Malatesta si deve a Davide Turcato che pubblica, nel 2010, per le edizioni Bruno Alpini di Imola, Leggere Malatesta, un breve e denso saggio nel quale l’autore accosta il pensiero di Errico Malatesta a quello dei modernissimi Merton, Nozick, Hayek, Popper e di altri capisaldi del pensiero liberal-libertario, realizzando un interessante e convincente esperimento di attualizzazione. Di tutt’altro segno, certamente molto singolare, Non ho bisogno di stare tranquillo, Milano, Elèuthera, 2012, una sorta di biografia romanzata con la quale Vittorio Giacopini ricostruisce gli ultimi anni di Malatesta, quelli dell’esilio domiciliare romano al quale lo aveva costretto, per rancorosa vendetta, Mussolini. Sono anni difficili per Malatesta, apparentemente segnati da un senso di sconfitta e di abbandono, che comunque lo vedono, nella libera ricostruzione di Giacopini, mai rassegnato, ma al contrario sempre più convinto di avere speso la propria vita come meglio non avrebbe potuto. Un omaggio tanto originale quanto sincero al grande Errico.

CLASSICI ITALIANI

Non è solo Malatesta ad essere riproposto all’attenzione di quanti sono interessati al pensiero libertario, come dimostrano i molti titoli dedicati ai “classici” dell’anarchismo italiano. Prendiamo l’avvio da Carlo Pisacane, da molti considerato fra i precursori del pensiero libertario. L’editore torinese Baldini Castoldi Dalai ha promosso, nel centocinquantenario dell’Unità d’Italia, una piccola collana, «150°», dedicata alle principali figure del Risorgimento. E naturalmente, fra i vari D’Azeglio, Mazzini e Garibaldi, troviamo anche la Vita e scritti scelti dell’“eroe di Sapri”. Accanto a una breve traccia biografica e bibliografica, sono riprodotti alcuni brani tratti dal suo maggior lascito intellettuale, quel Saggio sulla rivoluzione nel quale il patriota napoletano sostiene la indissolubilità del legame fra rivoluzione nazionale, quella che sta avanzando in molti paesi d’Europa, e rivoluzione sociale, indispensabile corollario per la vera riuscita della prima. Come si vede, più che un abbozzo del pensiero libertario, il testo rappresenta già l’aperta affermazione di principi quali la messa al bando della proprietà privata, la socializzazione dei mezzi di produzione, l’eguaglianza di tutti i cittadini e così via.

Barberis e Mantegazza, La spedizione
di Sapri. Pisacane assalito dai contadini
furibondi
. Da Jessie White Mario,
Della vita di Giuseppe Mazzini

Proseguendo in ordine cronologico, un nuovo Compendio del Capitale di Carlo Cafiero esce per i tipi della Biblioteca Franco Serantini (Pisa, 2009). Gli editori non si limitano a riproporre questo classico ottocentesco (scritto nel carcere di Benevento dopo i fatti del Matese), definito da Marx come il miglior sunto della sua monumentale opera, ma ne rendono maggiormente fruibile la lettura con l’ottima introduzione di Franco Bertolucci, la biografia di Cafiero di Pier Carlo Masini, una antica prefazione di Luigi Fabbri, un preziosissimo indice per argomenti e un indice ragionato dei nomi.

Carlo Cafiero

Indubbiamente il valore ancora fortemente attuale di questo testo meritava un apparato così denso e completo.
Dopo Cafiero, un altro esponente della Prima Internazionale, e un altro figlio del meridione, l’avvocato ed economista Francesco Saverio Merlino. Impegnate a promuovere le riedizioni dei classici dell’anarchismo, sono sempre le Edizioni BFS a riproporre Politica e magistratura in Italia (Pisa, 2011), che vide la luce nel 1925, quando Merlino da tempo militava nelle file del socialismo riformista. L’attualità di questo testo consiste nell’analisi sulla pretesa indipendenza della magistratura dal potere politico, una vexata quaestio che allora come oggi non trova altra risposta se non nell’impossibilità di una vera indipendenza della prima dal secondo. Egregiamente curato sul piano grafico e redazionale, come è consuetudine delle Edizioni BFS, il volume presenta l’ottima introduzione di Giampietro Berti, già autore di un’opera fondamentale sul pensatore napoletano. Un’altra riedizione di Merlino è quella curata dalla casa editrice Una Città, di Forlì, che ha pubblicato nel 2012 L’Italia qual è, unico fra i testi merliniani ad aver visto la sola edizione francese nel 1890. Un ritratto fortemente critico della nazione, perché, come scrive nell’introduzione Massimo La Torre, «a trent’anni dall’impresa dei Mille, epopea popolare e libertaria, ciò che resta ancora è il fumo e il sangue delle fucilazioni di Bronte […] e la condizione delle masse popolari, di quelle meridionali soprattutto, è peggiorata, niente affatto migliorata». A Merlino è stato anche dedicato un importante convegno tenutosi a Imola nel 2000, organizzato dall’Associazione Arti e Pensieri, nel corso del quale numerosi studiosi, appartenenti a diverse scuole di pensiero, hanno analizzato e riproposto all’attenzione di un vasto pubblico l’attualità delle considerazioni merliniane sulla radicale revisione del marxismo in direzione libertaria e umanista. Gli atti, La fine del socialismo? Francesco Saverio Merlino e l’anarchia possibile, sono stati pubblicati nel 2010 dal Centro Studi Libertari “Camillo di Sciullo” di Chieti e la loro accuratissima pubblicazione è stata resa possibile dal tenace lavoro del curatore Gianpiero Landi.
Le edizioni Samizdat di Pescara hanno pubblicato, di Giuseppe Sarno, L’anarchia dedotta criticamente dal sistema hegeliano. Si tratta di una edizione del 2004 di cui diamo conto solo oggi poiché “sfuggita” alle precedenti edizioni di questo repertorio bibliografico. Il testo, di carattere giuridico-filosofico, ebbe una certa notorietà anche per la polemica ingaggiata dall’autore con il filosofo napoletano Giovanni Bovio, e fu ristampato solo nel 1946 con l’introduzione di Benedetto Croce, che dell’autore fu amico e condiscepolo.
Nel gennaio 2011 si è svolto a Pisa, organizzato dalla Biblioteca Serantini, un importante convegno di studi dedicato alla figura di Pietro Gori. Il numero 5 della collana «Quaderni della Rivista Storica dell’Anarchismo», ne raccoglie oggi gli atti curati da Maurizio Antonioli, Franco Bertolucci e Roberto Giulianelli: Nostra patria è il mondo intero. Pietro Gori nel movimento operaio e libertario italiano e internazionale, Pisa, Edizioni Bfs, 2012. Un contributo doveroso per riscoprire l’importanza di questa figura che a suo tempo fu fra le più significative dell’anarchismo italiano e per restituirne un’immagine sottratta a quell’alone di romanticismo che l’ha troppo caratterizzata negli anni. In concomitanza, le Edizioni BFS hanno voluto ricordare l’amatissimo poeta e agitatore anarchico con la pubblicazione della sua inedita tesi di laurea, La miseria e i delitti, nella quale Gori lasciava già intravedere quale sarebbe stato il percorso umano e sociale della sua vita, tanto intensa quanto breve. Quello della BFS è un omaggio sincero e affettuoso allo «studioso, avvocato, propagandista, militante politico, poeta e autore teatrale» e, a significativo corredo di questo testo impregnato della cultura positivista di fine Ottocento, figura un importante saggio a quattro mani, di Maurizio Antonioli e Franco Bertolucci, Pietro Gori. Una vita per l’ideale, che può essere considerato lo studio più completo e puntuale sulla vita e sull’opera del «cavaliere dell’ideale» dopo la sua biografia, opera sempre di Maurizio Antonioli, uscita alcuni anni fa per gli stessi tipi della BFS.
Negli anni immediatamente successivi al trionfo della rivoluzione d’Ottobre, numerose furono, com’era lecito aspettarsi, le analisi sulla natura del nuovo Stato rivoluzionario e sulle dinamiche maturate nel corso del processo di quel profondo rivolgimento sociale. Sul versante dell’anarchismo resta famoso il saggio di Nikolaj Bucharin (uno dei maggiori teorici bolscevichi, fatto poi fucilare da Stalin come molti suoi “colleghi”) sui rapporti fra anarchismo e marxismo. Altrettanto famosa, e particolarmente lucida, la risposta di Luigi Fabbri al rivoluzionario russo. Nel 2009 le Edizioni Zero in Condotta ripubblicano entrambi i saggi già usciti negli anni Settanta per le edizioni Altamurgia, sotto il titolo Anarchia e Comunismo Scientifico. Un teorico marxista ed un anarchico a confronto, un volume particolarmente importante per capire le differenze sostanziali fra il progetto rivoluzionario cosiddetto “scientifico”, condizionato da un ineliminabile e necessario autoritarismo, e quello libertario, improntato ai principi dell’autogestione e del rifiuto di qualsiasi delega, fosse anche quella al “mitico” partito.

Camillo Berneri

Luigi Fabbri è stato uno dei massimi teorici e divulgatori del pensiero anarchico del Novecento, e accanto a lui, come importanza e profondità, sta Camillo Berneri. Se in questi ultimi anni è stato ripubblicato solamente un suo breve saggio (Camillo Berneri, Il cristianesimo e il lavoro, Carrara, Cooperativa Tipolitografica, 2011), introdotto da Susanna Berti Franceschi, sono però usciti due corposi volumi dedicati alla vita e all’opera di questo importante teorico e militante: AA. VV., Un libertario in Europa. Camillo Berneri: fra totalitarismi e democrazia, Reggio Emilia, Biblioteca Panizza e Archivio Famiglia Berneri - Chessa, 2010; Stefano D’Errico, Il socialismo libertario ed umanista oggi fra politica ed antipolitica. Attualità della revisione berneriana del pensiero anarchico, Milano, Mimesis, 2011. Il primo, curato da Giampietro Berti e Giorgio Sacchetti, raccoglie gli atti del convegno dedicato a Camillo Berneri tenutosi ad Arezzo nel maggio del 2007, al quale sono intervenuti molti fra i più accreditati studiosi al’anarchico lodigiano. Il volume riflette la complessità della vita e della riflessione intellettuale di Berneri, non mancando di registrare il forte dibattito, a tratti anche piuttosto polemico, che la rilevanza e l’attualità dell’argomento non hanno mancato di suscitare. Il volume di Stefano D’Errico riprende, in sostanza, la relazione tenuta dall’autore nell’ambito del convegno, e fin dal titolo, che fa esplicito riferimento alla revisione del pensiero anarchico, lascia intuire quale ne sia l’impostazione di fondo. Del resto Berneri, nell’enorme mole di scritti che ha lasciato, ha concesso ampio spazio a diverse interpretazioni, proprio perché portatore di un pensiero talmente libero e aperto alla realtà del presente che la sua lettura può trovare di volta in volta corrispondenza nell’approccio individuale di ciascun esegeta. Ciò nulla toglie all’importanza e alla lucidità del suo pensiero e della sua azione, che risultano anzi avvalorati dall’attualità di nuove riletture, reinterpretazioni, discussioni.
L’Archivio Famiglia Berneri - Aurelio Chessa e la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia nel 2008 hanno organizzato un convegno di studi dedicato a Giovanna Caleffi Berneri, compagna di vita di Camillo Berneri e successivamente animatrice, con Cesare Zaccaria, della ripresa del movimento anarchico nel secondo dopoguerra. A lungo protagonista della vita culturale e militante del movimento, Giovanna Caleffi Berneri fu fondatrice, nel 1946 della rivista «Volontà», uno dei più importanti e longevi contributi intellettuali alla cultura libertaria di questi decenni. Gli organizzatori del convegno ne hanno pubblicato gli atti nel volume Giovanna Caleffi Berneri e la cultura eretica di sinistra nel secondo dopoguerra, Reggio Emilia, Biblioteca Panizzi e Archivio Famiglia Berneri - Aurelio Chessa, 2012, che contiene i saggi di una dozzina di studiosi e gli intensi ricordi personali di chi l’ha conosciuta.
Per terminare questa sezione, citiamo alcune opere in ordine sparso. La piccola editrice Gwynplaine, di Camerano, ha pubblicato Emile Henry, Aforismi di un terrorista, 2010, una raccolta di appunti scritti nel carcere parigino dal giovanissimo attentatore in attesa di essere ghigliottinato. Il volumetto è corredato da un breve saggio, La qualità dell’ingovernabile, di Carmine Mangone. Restando nell’ambito di “anarchismo e delitto”, eccoci ad una nuova edizione di Cesare Lombroso, Gli anarchici, Milano, La Vita Felice, 2009. Si tratta della ennesima riproposta del testo con il quale l’esponente positivista pretendeva di inchiodare il pensiero anarchico e i suoi esponenti agli improbabili dettami della nascente scienza dell’antropologia criminale. Lodevole, comunque, l’intenzione dell’editore che, nel giudicare le tesi lombrosiana, le definisce «nemmeno lontanamente scientifiche», e desidera «rendere un omaggio anche a quegli anarchici che furono pre-giudicati, condannati sommariamente per i loro lineamenti, colpevolizzati da una società che rifiutò di capire la tragedia dei loro gesti». Certo, se ci fosse stato anche un ampio apparato critico alle tesi di Lombroso, non sarebbe stato male!
Di tutt’altro tono la riedizione di due testi famosi ma quasi sconosciuti di Giovanni Rossi “Cardias”, Cecilia. Comunità anarchica sperimentale. Un episodio d’amore nella Colonia “Cecilia”, Aprilia, Ortica, 2011. Si tratta del resoconto di un tentativo sperimentale condotto nell’Ottocento, quando un gruppo di anarchici in prevalenza toscani e lombardi fondarono in Brasile una comunità agricola basata sui principi dell’anarchia, della libera sperimentazione e dell’autogestione, seguito da una sorta di racconto breve nel quale Giovanni Rossi, fondatore della Colonia Cecilia, descrive la vita quotidiana proprio come vi si svolgeva, soprattutto riguardo all’aspetto rivoluzionario del libero amore.

CLASSICI STRANIERI

Restando ai classici dell’Ottocento ritroviamo, sempre attuale, uno dei padri nobili del pensiero libertario, l’eclettico economista e filosofo Pierre Joseph Proudhon, di cui Elèuthera ha pubblicato nel 2009 un’interessante antologia, curata da Giampietro Berti, Critica della proprietà e dello Stato, nella quale vengono evidenziati ed analizzati «gli elementi forti, di stimolo alla riflessione attuale: il federalismo, l’autogestione, la dialettica irrisolta degli opposti, il pluralismo metodologico e progettuale». Un’altra antologia dedicata al pensatore di Besançon, nell’ambito delle celebrazioni del centocinquantenario dell’Unità italiana, è quella curata nel 2010 da Antonello Biagini e Andrea Carteny, Contro l’Unità d’Italia, della casa editrice torinese Miraggi. Si tratta di una raccolta di articoli in parte inediti in Italia, fortemente critici nei confronti di Mazzini e Garibaldi, accusati di «aver sacrificato i loro ideali e le loro lotte sull’altare dell’Unità, svendendosi a un re conservatore». Come si può capire, scritti provocatori ma anche capaci di indurre a una riflessione critica sulle vicende risorgimentali. Gli stessi temi, e in parte gli stessi saggi, ma questa volta in forma più completa, quelli che compaiono nella raccolta curata dal Circolo Anarchico Umbro “Sana Utopia”, Il federalismo e l’unità in Italia, Perugia, 2011, un lavoro di cui i curatori sono dichiarati e grati debitori alle ricerche storiche avviate, a suo tempo, da Luigi Di Lembo.
In una collana dedicata ai testi sulla montagna, ricompare, a sorpresa, un grande classico dell’Ottocento, Élisée Reclus, Storia di una montagna, Verbania, Tararà Edizioni, 2008, curato da Claude Raffestin e tradotto dalla studiosa Marcella Schmidt di Friedberg. Reclus è stato l’inventore della moderna geografia, e la sua intuizione che lo studio della terra dovesse coincidere con quello di chi la abita, si è sposata felicemente alla sua profonda sensibilità sociale che ne ha fatto uno dei più importanti pensatori e attivisti anarchici dell’Ottocento. Di lui si era già occupato recentemente Federico Ferretti, che torna ora a dedicarsi al geografo con un nuovo lavoro, Anarchici ed editori. Reti scientifiche, editoria e lotte culturali attorno alla Nuova Geografia Universale di Élisée Reclus, Milano, Zero in Condotta, 2011. Sembrerebbe un testo destinato agli specialisti della materia, ma la scorrevolezza della scrittura e l’interesse dell’argomento offrono uno scorcio molto interessante sullo sviluppo della nuova geografia sociale e sugli interessi non solo economici ad essa legati. Un ottimo risultato questo di Ferretti, oggi fra i più apprezzabili studiosi della materia.

Frontespizio de L'Homme et la Terre

Pietro Kropotkin è stato, forse, il pensatore più letto e celebrato nella storia del movimento anarchico. Di suo, come di alcuni altri “grandi”, si continuano a pubblicare molti dei testi più attuali; uno di questi è La morale anarchica (Prato, Piano B Edizioni, 2011) un piccolo gioiello nel quale il grande russo compendia l’essenza dell’anarchismo, quello spirito etico che ne sta alla base, altrettanto imprescindibile della concezione fortemente solidale che alberga in ogni libertario. Un altro classico, anche se meno conosciuto, è pubblicato nel 2008 da Galzerano Editore di Casalvelino Scalo, arricchito dalla bibliografia delle opere kropotkiniane edite in italiano dal 1887 ad oggi. Si tratta de Lo Stato, «un saggio ancora oggi di notevole valore sulla statolatria e sul ruolo dello Stato, nel quale l’autore dimostra come l’istituzione dello Stato, che è la guerra, la miseria, l’oppressione, lo sfruttamento, la menzogna, non ha favorito alcuna emancipazione sociale».

Pëtr A. Kropotkin

Infine, la riproposta, dopo una sessantina d’anni, di un’opera fra le più amate e pubblicate in passato, La conquista del pane, Aprilia, Ortica, 2012, nella quale il pensatore russo descrive il processo rivoluzionario, la «conquista del pane» appunto, nel suo divenire, attraverso i passaggi che saranno resi necessari per la realizzazione della società anarchica. Dopo aver detto di Kropotkin, e quindi dell’anarchismo di matrice russa, bisogna dire che forse nemmeno lui avrebbe trovato la strada per sviluppare il proprio pensiero se prima non ci fosse stato Herzen, il grande intellettuale che può essere considerato il padre spirituale della generazione di rivoluzionari che contribuirono a mettere in crisi il regime autocratico per eccellenza, quello zarista. Il volume di cui parliamo (Alexander I. Herzen, Dall’altra sponda, Aprilia, Ortica, 2011) può essere considerato come il primo esempio di pensiero critico nel mondo slavo, e senz’altro un pilastro sul quale si appoggeranno rivoluzionari come Bakunin, scrittori come Turgenev e Dostoevskij, pensatori come Bielinskij, militanti come l’intera generazione dei nichilisti.
In questi anni l’editoria non si è interessata solo ai cosiddetti “grandi” dell’anarchismo, ma ha dedicato la propria attenzione anche a pensatori solo apparentemente marginali rispetto al pensiero anarchico classico. Di Etienne De La Boetie, ad esempio, l’umanista cinquecentesco francese già noto in ambito libertario, sono uscite due riedizioni del Discorso sulla servitù volontaria (Milano, La vita felice, 2007 e Chiarelettere, 2011), un gioiello di logica stringente nel quale si pone in discussione, forse per la prima volta e sicuramente in maniera molto efficace, la legittimità dello Stato a governare. Una legittimità lucidamente analizzata nel suo punto più debole, quel consenso passivo che gli uomini affidano al Potere. Un testo di cui andrebbe raccomandata la lettura in ogni ordine di scuola, perché aiuterebbe a capire quanto potrebbero essere di argilla le fondamenta di un leviatano che conculca la libertà.
Dalla Francia del Cinquecento alla Russia di Tolstoj, il grande scrittore molto amato dagli anarchici. Il suo fu, indubbiamente, un anarchismo di un tipo particolare, sempre che la sua filosofia di vita possa essere definita anarchica, ma quel che è certo è che la profondità e l’afflato solidaristico del suo pensiero hanno spesso coinvolto e affascinato il mondo libertario. La pisana BFS ha pubblicato nel 2010 una piccola antologia, La schiavitù del nostro tempo, ottimamente curata e commentata da Bruna Bianchi. È non solo una critica durissima alle miserrime condizioni di vita delle masse popolari sul finire dell’Ottocento, ma anche una efficace analisi della disumanità di una struttura sociale che basa la propria potenza sulla disperazione e la costrizione dell’individuo.

Henry David Thoreau

Un’altra figura ottocentesca eclettica e non classificabile è quella di Henry David Thoreau, elemento di spicco di un pensiero autenticamente liberal, antesignano dell’ecologismo sociale, alieno da ogni simpatia nei confronti dello Stato e sicuro punto di riferimento per quella corrente di pensiero così vivace negli Stati Uniti, che vede nella forma statale un male necessario al quale, però, vanno quanto più possibile tarpate le ali. Il suo famosissimo La disobbedienza civile (Milano, Corriere della Sera, 2010, con prefazione di Dario Antiseri e Aprilia, Ortica, 2011), è una sorta di vera e propria bibbia per i teorici della resistenza passiva e nonviolenta, e del resto l’altrettanto famoso incipit: «Il governo migliore è quello che governa meno», lascia capire quanta affidabilità concedesse l’uomo di Walden all’esercizio del potere. Un altro interessante lavoro sul filosofo americano è Il re barbaro. Un ritratto di Henry David Thoreau, Roma, Edizioni dell’Asino, 2012, di Robert Louis Stevenson, un breve saggio ancora inedito in italiano, nel quale l’autore del Dottor Jekyll e Mister Hyde mette l’accento sul «suo richiamo alla responsabilità individuale nella protesta contro ogni forma di ingiustizia sociale».
Stirner (pseudonimo di Johan Kaspar Schmidt) viene considerato, alla stregua di alcuni autori appena citati, uno dei precursori dell’anarchismo, e indubbiamente la sua concezione dell’individuo, come Unico, entità a sé stante e autonoma dalle regole e dai vincoli sociali, ha influenzato parte del movimento anarchico, a partire dagli ambiti individualisti di inizio ‘900 fino ai suoi confusionari lettori, assertori di un “superomismo” che tanto poco ha fatto per lo sviluppo del nostro movimento e molto, al contrario, per farne una macchietta avulsa dalla realtà. Ma proprio perché il suo pensiero è più complesso di come avrebbero voluto ridurlo molti dei suoi “seguaci”, viene utile di Ferruccio Andolfi, filosofo della storia, il lavoro Il non uomo non è un mostro. Saggi su Stirner, Napoli, Guida, 2009, nel quale l’autore si propone di «collocare Stirner all’interno del dibattito sull’umanesimo che si sviluppò negli anni ’40 dell’Ottocento».
Restando in Germania parliamo ora di Gustav Landauer ed Erich Mühsam, due intellettuali e militanti anarchici accomunati tanto dalla originalità del pensiero quanto dalle tragiche vicende che ne hanno segnato l’esistenza. Ancora Ferruccio Andolfi ha curato la riedizione del saggio più famoso di Landauer, La rivoluzione, Reggio Emilia, Diabasis, 2009. È un testo problematico, critico nei confronti di un concetto salvifico e definitivo del processo rivoluzionario, sempre aperto a degenerazioni autoritarie se non accompagnato dalla ricostituzione di una comunità collettiva e spirituale. In appendice il discorso con cui Martin Buber, nel 1919, commemorò Landauer, ucciso a Monaco di Baviera dai corpi franchi incaricati di seppellire l’esperienza della Repubblica Consiliare Bavarese. Di Gianfranco Ragona, è l’unica biografia italiana dedicata a Gustav Landauer, anarchico ebreo tedesco, Roma, Editori Riuniti, 2010, un corposo volume particolarmente prezioso perché permette di conoscerne a fondo la dimensione critica e riflessiva, fra le più originali e meno conosciute in campo anarchico. Accanto alle note biografiche Ragona sviluppa un’analisi accurata e interessante dell’impostazione teorica di Landauer consentendo, in tal modo, di apprezzarne l’importanza. Importanza che emerge in pieno dalla lettura della raccolta di alcuni suoi testi curati sempre da Gianfranco Ragona: Gustav Landauer, La comunità anarchica. Scritti politici, Milano, Elèuthera, 2012. Asse portante del suo pensiero è il concetto che il processo rivoluzionario non può essere soltanto il portato di determinate condizioni economiche e rivolgimenti sociali, ma deve essere anche il superamento del concetto di individuo avulso dalla comunità; solo l’individuo comunitario potrà portare a termine, infatti, la realizzazione del sogno rivoluzionario, individuo comunitario «in quanto frutto delle sue relazioni con gli altri».

Gustav Landauer

Anche per Erich Mühsam, l’anarchico arrestato dopo l’incendio del Reichstag e “suicidato” nel 1934 in uno dei primi lager nazisti, si registra da tempo la rinascita di interesse. Attivo militante, acuto intellettuale ed estroverso poeta, figura di spicco, con Landauer e Ernst Töller nella Repubblica Bavarese dei Consigli, Mühsam è una delle personalità più originali ed eclettiche dell’intellettualità tedesca del primo dopoguerra, e la sua statura esce a tutto tondo dalla pubblicazione di alcuni suoi testi, raccolti e annotati da Leonhard Schäfer (Erich Mühsam, Anarchismo e comunismo, San Casciano Val Di Pesa, 2009) e da Andrea Chersi (Erich Mühsam, Ascona, Monte Verità e Schegge, Brescia, Chersilibri, 2008), in una bella e accurata edizione arricchita dalla riproduzione di alcuni dei disegni “fantastici” del poeta. Una biografia, a corredo di una ampia raccolta delle sue poesie, è quella scritta da Leonard Schäfer, Erich Mühsam. C’era una volta un rivoluzionario, Brescia, Chersilibri, 2010, molto interessante, anche per la ricchezza della documentazione iconografica, per apprezzare l’originalità di questa figura tanto importante quanto, relativamente, poco conosciuta. Basta leggere alcuni dei suoi versi, ad esempio il bellissimo Il canto dei soldati, per capire quanto dovessero temerlo i nemici, prima la socialdemocrazie e poi il nazismo.
Friedrich Nietzsche non può certo essere considerato un pensatore anarchico anche se, soprattutto nei primi anni del ’900, non furono pochi gli individualisti che si lasciarono affascinare dalle sue affermazioni di potenza e volontà. Resta il fatto che furono ben altre le dottrine politiche che attinsero a piene mani a quella sua visione di una società nella quale dovessero essere i “superuomini”a emergere, a discapito degli altri. Appare curioso, quindi, questo libro di John Moore e Spencer Sunshine, Non sono un uomo, sono dinamite. Friedrich Nietzsche e la tradizione anarchica, Lecce, Bepress, 2012, nel quale sono raccolti numerosi saggi, soprattutto di scuola anglosassone, che intendono correlare la filosofia nietzschiana al pensiero libertario. Particolarmente interessante, e anche un po’ spiazzante, il contributo di Leith Stracross dedicato a Emma Goldman e ai numerosi cicli di conferenze da lei consacrati all’anarchismo del filosofo tedesco.
A ideale congiunzione fra queste prime sezioni dedicate ai classici e quella successiva, sul pensiero contemporaneo, altri due interessanti lavori. Il primo è della inglese Ruth Kinna, Che cos’è l’anarchia. La guida essenziale alla teoria della libertà, Roma, Castelvecchi, 2010, nel quale l’autrice, redattrice della rivista inglese Anarchist Studies, tenta una summa delle teorie anarchiche per come si sono sviluppate, e hanno agito, dalle origini a oggi. Così, accostato al pensiero dei Kropotkin, Reclus, Malatesta, Bakunin e altri, troviamo quello di Zerzan, Read, Bookchin, Goodman e affini. Davvero una felice sintesi della complessità storica e intellettuale dell’anarchismo che, grazie anche a un utile indice analitico, permette di approfondirne compiutamente la conoscenza. Segnalo poi la riedizione di un vecchio saggio, già uscito nel 1986, ora riproposto a cura di Manuela Ceretta con una nuova introduzione di Gianpietro Berti e un ricco apparato bibliografico. Si tratta di Mirella Larizza Lolli, Stato e potere nell’anarchismo, Milano, Franco Angeli, 2010. L’autrice parte dalla disanima del pensiero dei classici, da Godwin a Proudhon, da Kropotkin a Bakunin, per arrivare all’analisi di come l’anarchismo contemporaneo abbia affrontato i mutamenti imposti dal tardo capitalismo. Ecco quindi l’illustrazione delle riflessioni di Colin Ward, Louis Mercier Vega, Paul Goodman e Noam Chomsky. Significativo di questo denso lavoro l’avere contestualizzato la formazione del pensiero libertario attraverso i suoi classici, all’interno del contesto sociale nel quale questo pensiero si veniva formando. Descrivendo poi come la teoria si andasse configurando attraverso l’esperienza pratica all’interno della quale si muoveva il movimento, per formulare una nuova concezione teorica. Processo intellettuale che ha avuto i momenti più significativi proprio in quella sorta di “revisione” teorica che ha visto protagonisti i pensatori appena citati.

PENSIERO CONTEMPORANEO

Dal classico al moderno. Dalla riproposta di alcune delle pietre miliari dell’anarchismo, alla prospettiva di interpretare la modernità sperimentando nuove ipotesi libertarie, legate ai principi classici ma capaci di offrire nuove griglie interpretative per nuove forme di intervento.
Di particolare interesse, al riguardo, un libro destinato a suscitare polemiche e consensi e, sicuramente, a non passare inosservato. Si tratta dell’ultimo, corposo lavoro di Giampietro Berti, Libertà senza Rivoluzione. L’anarchismo fra la sconfitta del comunismo e la vittoria del capitalismo, Manduria, Lacaita, 2012, che rappresenta la conclusione del lungo processo di riflessione sulla modernità e l’attualità dell’anarchismo che questo studioso ha condotto da anni. Già militante di grande esperienza e oggi professore ordinario di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Padova, Berti affonda un acuminato coltello nel corpo del movimento anarchico, definito, senza ambiguità, «ormai in completa dissoluzione». Ma se tale è il movimento, ben altro destino può competere al pensiero libertario, vitale come sempre, soprattutto se in grado di liberarsi dalle gabbie dell’ideologia. Come si può capire, moltissima carne al fuoco della discussione in campo anarchico, una discussione che non si limiterà di certo agli ambienti accademici, ma che troverà il suo focus proprio all’interno di quel movimento che l’autore dà, ormai, per morente.
Di tutt’altro segno l’agile pamphlet pubblicato sempre nel 2012 da Zero in Condotta dal titolo Il buco nero del capitalismo. Critica della politica e prospettive libertarie, nel quale gli autori, Antonio Cardella, Alberto La Via, Angelo Tirrito e Salvo Vaccaro «si sforzano di delineare una ipotesi di lettura non solo descrittiva, ma suggeriscono altresì la necessità di cambiare lenti di vista e progettualità». Per loro, indubbiamente, non si è ancora verificata una definitiva «vittoria del capitalismo», anzi, le contraddizioni insite nell’attuale sistema economico e finanziario, se lette con feconda apertura di pensiero, consentono tuttora l’efficace intervento «dell’Anarchia, non più confinata a una questione di tipo ideologico ma proposta come un’entusiastica assunzione di responsabilità individuale per costruire collettivamente una vita degna di essere vissuta».
Salvo Vaccaro, senza dubbio uno dei più attenti interpreti dell’anarchismo contemporaneo, ha curato inoltre una preziosa antologia, Pensare altrimenti. Anarchismo e filosofia radicale del novecento, Milano, Elèuthera, 2011, con scritti di Abensour, Call, Colson, Critchley, Jun, May e Newman. Questo volume «raccoglie un’idea forte: l’anarchismo può rilanciarsi come ipotesi adeguata per interpretare e cambiare il mondo d’oggi a patto di aprirsi ai contributi di alcuni studiosi non anarchici – Deleuze, Derrida, Foucault, Lévinas – le cui idee sono in grande sintonia con quelle anarchiche e, se declinate in senso libertario, in grado di affiancarle in un percorso di radicale liberazione dal dominio». Come si vede, una sfida azzardata ma anche ricca di nuove prospettive, intesa a ridare al pensiero antiautoritario una funzione e un ruolo adatti alle problematiche del ventunesimo secolo.
Nel campo di una sintesi fra anarchismo e scienze sociali si inserisce il lavoro del noto psicanalista franco-argentino Eduardo Colombo, Lo spazio politico dell’anarchia, Milano, Elèuthera, 2009. Si tratta di una riflessione ad ampio raggio sulla storica contrapposizione fra Stato, inteso come “espropriazione” dello spazio pubblico, e società anarchica, realizzazione compiuta della riappropriazione da parte del cittadino dello spazio pubblico usurpato dal potere. Quindi anarchia come «figura di uno spazio politico non gerarchico organizzato per e dall’autonomia del soggetto dell’azione» sociale stessa. Anche qui vediamo la felice attuazione di un obiettivo rivolto a ridare attualità ed efficacia al pensiero e all’azione degli anarchici.
Noam Chomsky è senza dubbio una delle figure più interessanti e rappresentative della cosiddetta new left e spesso le sue riflessioni hanno intercettato il pensiero anarchico. Nessuna meraviglia, quindi, per questo Anarchismo. Contro i modelli culturali imposti, Milano, Tropea, 2008. In questa raccolta di saggi, usciti fra il 1970 e il 1996 l’autore, come scrive Goffredo Fofi, «si confronta con la miglior tradizione liberale, con quella del socialismo libertario, del marxismo nelle acquisizioni e constatazioni che giudica valide, dell’anarcosindacalismo e naturalmente con i movimenti di protesta nei quali la storia del ventesimo secolo lo ha fatto imbattere». Opera senza dubbio ricca di stimoli penetranti e puntuali nella analisi della società attuale e della potenzialità trasformatrice insita nelle teorie con le quali fino ad oggi si è manifestato il pensiero libertario. Da una prospettiva antropologica parte invece il lungo saggio di Stefano Boni, Culture e poteri. Un approccio antropologico, Milano, Elèuthera, 2011, nel quale l’autore, docente di Antropologia culturale e Antropologia politica, studia tanto lo sviluppo delle culture egualitarie che ancora attraversano la società attuale, quanto le manifestazioni attraverso le quali il potere si misura con la società, sviluppando, senza remore né debolezze, tutta la sua forza, ora semplicemente coercitiva, ora decisamente repressiva. La via d’uscita, secondo l’autore, sta nella convinzione che «è possibile sottrarsi a un dominio tanto invisibile quanto opprimente, istituito nell’ordine della normalità, e affermare creativamente saperi, prassi e valori sovversivi». David Graeber è una delle personalità più interessanti nel campo della nuova cultura libertaria, capace di operare una felice contaminazione fra pensiero libertario e ricerca antropologica. Nella Critica della democrazia occidentale. Nuovi movimenti, crisi dello Stato, democrazia diretta, Milano, Elèuthera, 2012, riconsidera il concetto di democrazia, mostrando come l’uso strumentale che si fa di questo sistema partecipativo nell’occidente industrializzato, è assolutamente riduttivo: da un lato non tiene conto dei processi egualitari che sempre più stanno affiorando autonomamente nella società, e dall’altro rimarca il fallimento del «progetto di coniugare le procedure democratiche con i meccanismi coercitivi dello Stato». Insomma, il problema di sempre affrontato con intelligenza da nuove prospettive.

David Graeber

Che l’anarchismo possa e debba ancora avere un ruolo adeguato alla ricchezza del suo messaggio è la convinzione non solo nostra ma anche di uno storico collaboratore di «A». Infatti ne scrive con convincimento Andrea Papi, Per un nuovo umanesimo anarchico. Realismo di un progetto libertario, Milano, Zero in Condotta, 2009. Come si vede già dal sottotitolo, è di realismo che parla l’autore, in netta contrapposizione con quella stereotipata immagine legata all’utopia, con la quale si vorrebbe ridurre, anche contro la storia del XX secolo, l’esperienza storica dell’anarchismo. È un ottimismo, il suo, che non ci sorprende, conoscendo l’impegno e la volontà con i quali ha contribuito, in questi anni, a dare concretezza all’azione e al pensiero degli anarchici, un ottimismo che in queste pagine trova nuove forme espressive e propositive.
Senza dubbio eterodossi, ma altrettanto indubitabilmente di poco spessore e, a mio giudizio, di ben poca utilità, due volumi usciti recentemente. Il primo, di Roberto Bertoldo, poeta e filosofo, reca un titolo decisamente provocatorio: Anarchismo senza anarchia. Idee per una democrazia anarchica, Milano, Mimesis, 2009. Si tratta di un testo che, «partendo da una rivalutazione assiologica del mondo (detta ‘nullismo’) e dalla sua comprensione (mediante la ‘fenomenognomica’), rifonda l’anarchismo su principi umanitari (la vita) e logici (l’onestà)». Il tutto spiegato in capitoli quali «In quale misura la proprietà privata è un valore», «L’anarchismo e la mafia» e «Amoralità dell’etica anarchica». Come si vede un testo che, per chi avesse la pazienza di leggerlo, potrebbe offrire non pochi momenti di puro nervosismo. Di altro tenore, ma sostanzialmente della stessa utilità, di Massimo Fabio Nicosia, Il dittatore libertario. Anarchia analitica tra comunismo di mercato, rendita di esistenza e sovranità share, Torino, Giappichelli, 2011. L’autore, filosofo del diritto, è un convinto mercatista e assertore dell’anarco-capitalismo, e numerosi sono i suoi rimandi ai vari Rothbard, Nozick e compagnia. Personalmente, per decidere di non approfondirne la lettura, mi è bastato il seguente esergo: «Ai sessantottini di domani perché abbiano idee migliori di quelle di ieri», anche se mi rendo conto che questa mia affermazione è quanto di più soggettivo possa esserci.
Sostanzialmente sullo stesso argomento, anche se a partire da spunti diversi, due testi molto critici nei confronti del lavoro, inteso come valore fondamentale della società. Si tratta di Lavoro? No grazie! di Alberto Tognola per le Edizioni la Baronata, Lugano, 2011 e di Contro il lavoro, Milano, Elèuthera, 2011 di Philippe Godard. Tognola affronta l’argomento con serietà, ma anche con la scanzonata ironia destinata a chi dell’etica del lavoro ha fatto una religione. Non mancando di illustrare le molte alternative al lavoro non liberato, sia quelle storiche basate sulla pratica dell’autogestione, sia quelle possibili, una volta che ci si sia affrancati dall’esiziale concetto di «crescita del Pil». Insomma, per l’autore, come recita la copertina «La vita è altrove». Anche per Godard la religione del lavoro è un concetto da rifiutare integralmente, e infatti «l’esaltazione del lavoro, dimenticando i rapporti gerarchici che stanno al centro del mondo del lavoro, presenta l’enorme vantaggio ideologico di riunire sotto lo stesso vessillo sfruttatori e sfruttati, quanto meno quegli sfruttati che hanno un lavoro». Che fare, dunque? Forse una risposta l’aveva già data un classico, un anarchico socialista inglese ottocentesco che tanto ha contribuito, non solo col pensiero ma anche coi fatti, a rendere concreta l’ipotesi del lavoro liberato. Si tratta di William Morris, filosofo, artista e romanziere (Lavoro utile, fatica inutile, Roma, Donzelli, 2009) che trasferì dalle pagine del suo romanzo Notizie da nessun luogo, l’utopia realizzata del «lavoro come piacere», un lavoro non finalizzato al profitto ma «a gratificare il nostro naturale istinto a ricercare la bellezza e la piacevolezza». E chi conosce la produzione del movimento da lui creato, «Arts and Crafts», sa che Morris faceva sul serio.
L’Archivio Germinal di Carrara ha organizzato recentemente un ciclo di otto riuscite conferenze-dibattito su numerosi temi concernenti le molte forme del “controllo sociale”. Varie le tematiche e le prospettive da cui sono partiti i relatori; tutte interessanti ed utili per approfondire la ricerca degli strumenti con i quali affrontare queste nuove emergenze. Opportunamente gli organizzatori del ciclo di incontri hanno ritenuto utile “socializzare” la loro esperienza pubblicando i testi delle relazioni nel volume SottoControllo. Scritti sul controllo sociale, Carrara, Biblioteca Archivio Germinal, 2012. Di tutt’altro tono il volume Comunisti Anarchici una questione di classe. Teoria e strategia della FdCA, Giovane Talpa, 2009, in cui Saverio Craparo ha condensato l’esperienza teorica e militante dell’ormai storica Federazione dei Comunisti Anarchici. L’autore è un esponente di tale organizzazione da lunga data e la sua consolidata esperienza gli ha permesso di affrontare questo tema, apparentemente semplice, con rigore e capacità comunicativa, aprendo così una finestra su una interpretazione dell’anarchismo che, anche se per molti controversa, appartiene al nostro patrimonio teorico ed ideale. Nello stesso contesto ideologico si colloca il testo curato da Nestor McNab, Manifesto del Comunismo Libertario. Georges Fontenis e il movimento anarchico francese, Fano, Centro Documentazione Franco Salomone, 2011. Accanto a una breve biografia di Fontenis, forse il padre fondatore del comunismo libertario prima in Francia poi in Italia, compare anche, integralmente, il documento programmatico di questa forma organizzativa, quel Manifesto che già al suo apparire creò non poco scompiglio nella Federazione Francese e che successivamente avrebbe coagulato attorno alle proprie formulazioni teoriche e pratiche una parte consistente dell’anarchismo organizzato. Arricchito da numerose appendici, è sicuramente utile per comprendere appieno la variegata galassia del movimento libertario internazionale.

Georges Fontenis

Interrogativi forti, su come dare maggiore concretezza all’impegno degli anarchici, se li pongono Odoteo/Crisso nell’opuscolo Ma chi ha detto che non c’è, Portland, L’oro del tempo, 2011. Stretti fra le proprie tensioni e le imposture messe in atto dallo Stato, gli autori esprimono il timore che «a furia di mimetizzarsi fra gli altri, si finisca con il rinunciare a se stessi» per cui ritengono che occorra «saper riprendere le distanze […] osare andare contro il proprio tempo». Interessante, ma anche controverso nelle analisi e nelle conclusioni, il lavoro di Michele Fabiani, Sperimentiamo l’Anarchia, Perugia, Era Nuova, 2009, pubblicazione nella quale «sono raccolti alcuni dei più importanti articoli scritti prima, durante e dopo la carcerazione» dell’autore. Per finire, per una volta parlerò di un breve lavoro di Alfredo M. Bonanno, La tensione anarchica, Trieste, Anarchismo, 2007, che ha come incipit questa apodittica affermazione: «L’anarchismo non è solo un movimento politico, l’anarchismo è quella tensione della vita, quella qualità, quella forza che riusciamo a fare uscire da noi stessi cambiando la realtà delle cose». L’interesse principale sta nel fatto che si tratta di una sorta di summa teorica sui gruppi d’affinità e sulle organizzazioni informali, le cui funzioni e finalità vengono puntualmente spiegate. Anche se mi trova poco d’accordo, va detto che l’opuscolo riveste una sua utilità perché permette di fare chiarezza su tante cose oggi, indubbiamente, d’attualità. Per una visione più completa della figura di Bonanno e della sua infinita produzione editoriale, si rimanda a Non ancora, il catalogo delle Edizioni Anarchismo aggiornato al 2012.

COME FARCI CAPIRE E COSA FAR CAPIRE

Per Elèuthera, la casa editrice più attenta alle tematiche del “nuovo” anarchismo, un altro lavoro inteso a fornire nuovi stimoli per approfondire compiutamente le tante potenzialità del pensiero libertario. Parliamo di Francesco Codello, Né obbedire né comandare. Lessico libertario, Milano, 2009. L’autore, storico collaboratore di «A Rivista» e da sempre impegnato nel campo dell’educazione, presenta un lemmario apparentemente eterogeneo ma, nei fatti, accomunato da un’interpretazione coerentemente antiautoritaria. Troviamo così in parole “distanti” come Autogestione, Depressione, Obbedienza, Rivolta, Mutualismo, ecc. uno stesso filo logico-descrittivo, utile per decifrare in senso libertario l’attualità del presente. In un altro volume, Gli anarchismi. Una breve introduzione, Lugano, La Baronata, 2009, lo stesso Codello, mostra quanto il pensiero anarchico si sia espresso, storicamente, nelle sue diverse forme. Infatti «questo libro è una introduzione alle idee classiche e ai diversi tipi di anarchismo così come si sono presentati nel corso della storia e come ci appaiono oggi». Suddiviso in tre parti, Gli anarchismi, Uno sguardo anarchico e Problemi aperti, il volume rappresenta uno strumento utile per comprendere, e apprezzare, la pluralità del pensiero libertario.
Un’altra raccolta di voci è quella pubblicata dalla BFS ad opera di Pier Carlo Masini, Le parole del Novecento, Pisa, 2010. Giorgio Manzini ricostruisce nell’introduzione la genesi di questa singolare summa. Sono gli articoli tematici che Masini scriveva negli anni Settanta per «Il Giornale Nuovo» di Montanelli, articoli nei quali l’autore illustrava da un punto di vista singolare e scevro da preconcetti alcune delle parole chiave del Novecento. Tanto per capire: Egemonia, Anarchia, Massone, Stati Uniti d’Europa, Socialismo Liberale… Per chi abbia dimestichezza con i lavori di Masini, è facile immaginare la piacevolezza di una lettura tanto ricca e stimolante quanto originale. Dopo le antologie, una sorta di dizionario: Giuseppe Vottari, Anarchismo, Milano, Alpha Test, 2007, dove sono riportate un centinaio di voci, molte anarchiche, molte che con l’anarchismo hanno solo una certa attinenza. La silloge potrebbe sembrare una forzatura e invece si rivela utile perché rende conto dei legami, a volte palesi a volte sotterranei, fra anarchismo e società. Troviamo così, accanto agli immancabili Reclus, Malatesta, Umanità Nova e Sacco e Vanzetti, pensatori e artisti quali Castoriadis, Jean Vigo, Lewis Mumford. Un altro modo per spiegare con parole semplici ma con profondità la complessità della teoria e della metodologia anarchica è quello scelto da un compagno di vecchia data, Pippo Gurrieri, che ne L’anarchia spiegata a mia figlia, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2010, affronta i fondamenti dell’anarchismo. Infatti, «nel corso di una ipotetica giornata, incalzato dalle domande della figlia, un padre affronta con sincerità intellettuale e innegabile passione politica i temi che da sempre animano il dibattito e l’azione degli anarchici». Un pamphlet utile per la propaganda e particolarmente indovinato come concezione.
Non si può dire che non sia d’attualità l’argomento affrontato, con dovizia di materiale, dalle edizioni Gratis, che nel volume In Ordine sparso. Genealogia dell’organizzazione informale, Firenze, 2012, raccolgono una ricca antologia di testi, in gran parte risalenti al periodo prebellico, di ambito individualista e antiorganizzatore. Se l’obiettivo era dimostrare che l’informalità organizzativa appartiene a pieno titolo al pensiero e alla pratica anarchica (mi pare che questo nessuno l’abbia mai messo in dubbio), esso è stato pienamente raggiunto; se era invece quello di attribuire maggiore coerenza all’ipotesi individualista rispetto a quella associativa e federalista, penso che una rilettura di Malatesta non possa che giovare tanto agli editori quanto agli eventuali lettori.
Dovrebbe essere l’inizio di una nuova collana il volume a cura di Mimmo Pucciarelli, Intervista agli anarchici, Nico Berti, Lione e Casalvelino, Atelier Creation Libertarie e Galzerano, 2009, anche se fino ad ora è l’unico pubblicato.
Nico Berti, storico e professore ordinario all’Università di Padova, è uno dei compagni di più lungo corso, infatti la sua adesione all’anarchismo risale alla metà degli anni Sessanta. Studioso di valore e autore di importanti volumi sulla storia del movimento, da un punto di vista teorico possiamo ormai considerarlo più vicino al liberalismo sociale che non all’anarchismo tradizionale e infatti in queste pagine apprezziamo la ricchezza di un pensiero eterodosso e aperto ad “altri” stimoli, pieno di interrogativi che chiedono risposte diverse da quelle della militanza in senso stretto. Come una sorta di sussidiario, chiaro e di agevole lettura, si presenta l’opuscoletto prodotto dal Gruppo Malatesta di Roma, A come Anarchia, Roma, Gr. Malatesta, 2008, subito ripreso dalle edizioni bolognesi Atemporali l’anno successivo. Nato dalle conversazioni in quattro serate tenutesi nel circolo romano, il testo affronta tutte le tematiche che riguardano il pensiero e la proposta anarchica, ripercorrendo alcune fra le tappe più significative della storia dell’anarchismo. Interessanti non solo le brevi note che rispondono ai più frequenti luoghi comuni che ci riguardano, ma anche le risposte alle classiche domande: ma insomma, gli anarchici cosa vogliono e come pensano di realizzarlo? Nonostante le dimensioni ridotte dell’opuscolo, resta comunque un ottimo strumento per chi si avvicina pieno di curiosità al pensiero libertario.

LE AMERICHE

Come sempre, varcando i “confini anarchici” del nostro paese, si finisce in America, in Russia, in Spagna, in Francia, là dove la presenza rivoluzionaria dell’anarchismo è stata più significativa. Partiamo dal nuovo continente, e per l’esattezza dall’emisfero meridionale. L’Argentina, secondo la felice definizione del direttore d’orchestra Barenboim, è l’unico paese italiano dove si parla spagnolo: a significare la massiccia presenza di immigrati italiani. Per averne un saggio, è sufficiente sfogliare le pagine del libro di Oscar Greco, Da emigranti a ribelli. Storie di anarchici calabresi in Argentina, Cosenza, Klipper, 2009, dove si narra la storia della numerosa colonia di proletari calabresi che, portando oltre oceano la voglia di riscatto e il desiderio di una vita migliore, contribuirono significativamente a dare forza e nerbo a quel proletariato argentino che li aveva accolti come fratelli. È sorprendente vedere come questi semplici operai, braccianti, artigiani e contadini siano riusciti a fare propri i valori di solidarietà ed emancipazione con i quali si confrontavano per la prima volta, e a trasformare in felice contaminazione l’inevitabile “urto” che li attendeva nel momento in cui si sono dovuti misurare con la complessa vita sociale del paese che li accoglieva. Va dato merito a Greco di aver ricostruito con partecipazione la trasformazione ideale che accomunò tante esistenze, altrimenti destinate a non lasciare alcun segno nella storia.

Foto segnaletica
di Di Giovanni, 8 giugno 1925

È inevitabile, quando si parla dell’anarchismo argentino degli anni Trenta, imbattersi nella figura di Severino Di Giovanni. Agenzia X di Milano ripubblica nel 2011 l’ormai classica biografia di Osvaldo Bayer, Severino Di Giovanni. C’era una volta in America del Sud.
Uscito una prima volta nella Collana Vallera nel 1973, il libro narra le burrascose, discusse e tragiche vicende del rivoluzionario abruzzese, che in Argentina condusse una dura lotta contro lo Stato ma anche, a tratti, contro altre componenti del movimento anarchico. Leggerne le imprese, dalle prime rapine all’attività editoriale, dalla clandestinità alla morte affrontata con grande coraggio, è come affrontare uno spaccato romanzesco e avventuroso della vita tumultuosa di quel paese, e indubbiamente l’efficace scrittura dell’autore ne rende ancora più interessante la lettura. Restando all’Argentina, sempre di Osvaldo Bayer, Patagonia rebelde. Una storia di gauchos, bandoleros, anarchici, latifondisti e militari nell’Argentina degli anni Venti, Milano, Elèuthera, 2009. Anche questo è un libro avvincente, che narra una storia, come tante altre in America, di disperata ribellione e di feroce repressione: la storia di uno sciopero “all’ultimo sangue” che vide contrapposti, nella Patagonia degli anni Venti, un’armata “stracciona” di gauchos, contadini e sindacalisti, e i grandi e voraci latifondisti, che trovarono nel macellaio dell’esercito Héctor Benigno Varela il fedele e convinto esecutore dei loro ordini criminali. Ancora una volta una storia tragica, che vede soccombere nelle infernali prigioni della Terra del Fuoco, quanti, fra i ribelli, erano riusciti a sfuggire alla morte. Ma che vede anche un “angelo vendicatore” che saprà rendere giustizia ai fratelli massacrati. Lasciamo l’Argentina con un opuscolo che mostra come in questo tormentato paese il proletariato e gli anarchici abbiano sempre dovuto confrontarsi duramente con la criminalità del potere: Resistencia Libertaria, L’opposizione armata anarchica all’ultima dittatura argentina, Berlino, Salamandrina Edizioni Libertarie, 2005. Si tratta di un’intervista con Fernando Lopez, uno degli ultimi esponenti di questa formazione clandestina, nella quale si ripercorrono le tragedie che colpirono migliaia di oppositori del regime, uccisi nelle strade o fatti scomparire per sempre nel buio delle caserme dai macellai in divisa.
Di tutt’altro tenore, ma non meno interessante, il recentissimo volume di Augusto “Chacho” Andrés, Truffare una banca… che piacere!, Milano, Zero in Condotta, 2012. Questa volta siamo in Uruguay, altro paese latinoamericano dove la presenza anarchica è stata massiccia e importante. E dove, come nella vicina Argentina, la pesante mano del potere ha fatto ciclicamente sentire la sua torbida presenza. E anche qui incontriamo personaggi particolari, dalle vite avventurose e piene di non voluti imprevisti; e infatti «questo libro racconta di fughe da carceri e caserme, di assalti a banche, sequestri, truffe, falsificazioni, storie di clandestinità. Memorie di personaggi cari che non sono ‘grandi uomini’, bensì persone semplici, di sentimento e di passione». E molti di questi accomunati da un destino simile, o la morte combattendo contro il potere o la dissoluzione nelle tante carceri dove i desaparecidos hanno transitato per l’ultimo viaggio.

Argentina, 'Semana Tragica', 1919

Il libro di Ricardo Mella, 1° Maggio. I martiri di Chicago, Milano, Zero in Condotta, 2009 ci porta nell’emisfero nord. L’autore, anarchico spagnolo fra i fondatori della Associazione Internazionale dei Lavoratori nella seconda metà dell’800, ha vissuto in contemporanea gli avvenimenti di cui narra, la bomba alla manifestazione di Haymarket, il processo e l’impiccagione degli anarchici di Chicago, la nascita del 1° Maggio come giornata internazionale dedicata al lavoro. Le vicende sono note e il pregio del libro, oltre alla narrazione intensamente partecipata, è anche quello di contribuire a denunciare la progressiva involuzione che ha trasformato una giornata di lotta in una inoffensiva e forse inutile giornata di festa. Una vera curiosità è la storia narrata da Robert Tanzilo, Milwaukee 1917. Uno scontro tra italoamericani, Foligno, Editoriale Umbra, 2006, una vicenda sconosciuta che vide gli anarchici del Circolo Sociale di quella città scontrarsi con la polizia schierata a difesa del comizio del pastore protestante August Giuliani. Due furono gli anarchici uccisi e altri undici arrestati e condannati a 25 anni di prigione. Per essere poi “liberati” e quindi deportati, come tanti altri sovversivi, in Italia. L’epilogo pochi mesi dopo, quando una bomba, mai rivendicata ma della quale possiamo immaginare gli autori, esplose nella stazione di polizia uccidendo 9 agenti.
Ancora oggi, a distanza di tanti anni, continua a mantenersi vivo l’interesse per Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. La letteratura su di loro è ormai vastissima, eppure c’è sempre qualche contributo da aggiungere. Uno di questi, particolarmente prezioso, è quello che raccoglie lettere e scritti in gran parte inediti indirizzati da Sacco e Vanzetti a corrispondenti in gran parte americani. Il volume Nicola Sacco-Bartolomeo Vanzetti, Altri dovrebbero aver paura. Lettere e testimonianze inedite, Roma, Nova Delphi, 2012 raccoglie infatti la copiosa corrispondenza che i due intrattennero con numerose personalità della cultura e della società nordamericana durante la loro lunga detenzione. Si tratta di materiale in gran parte inedito che il curatore Andrea Comincini ha tradotto per la prima volta dall’inglese. È interessante sapere, come spiegato nell’introduzione, che per comunicare con i corrispondenti americani i due erano obbligati a scrivere le missive in inglese, probabilmente perché le autorità temevano messaggi cifrati se scritti in italiano. Questo spiega anche come mai si tratti, in larghissima parte, di lettere di Vanzetti, il quale, a differenza del compagno di sventura, padroneggiava in modo pressoché esemplare la lingua del paese che prima lo aveva ospitato e poi lo avrebbe mandato a morte. Arricchiscono il volume la presentazione di Valerio Evangelisti e una breve postfazione di Andrea Camilleri.
Sempre interessante, anche se per altri aspetti, la testimonianza di una nipote di Sacco, Maria Fernanda Sacco, I miei ricordi di una tragedia familiare, Apricena, Malatesta editrice, 2010. Centrata sulla questione razziale e sulla richiesta dell’abolizione della pena di morte, la ricostruzione dell’autrice è soprattutto attenta più a denunciare le palesi illegalità con le quali furono condotti tutti i processi che non a mettere in risalto la volontà dello Stato del Massachusetts di colpire nei due italiani il “pericolo” sovversivo che rappresentavano. Mettendo in secondo piano, in un certo senso, la loro identità anarchica. Anche Roberto Iurza e Letizia Barreca nel loro Sacco e Vanzetti. Un processo razziale, Milano, Over Mind, 2008 (edizione con ricca iconografia), pur non tacendo le motivazioni politiche che hanno informato la protervia della giustizia americana, vedono nella origine italiana di Sacco e Vanzetti il motivo principale della loro condanna ed esecuzione, facendo anche un “ardito” parallelo con la recente vicenda di Silvia Baraldini. Non si dimentichi che gli italiani erano, in quegli anni, fra i paria delle etnie che componevano il mosaico nordamericano. Quella di Carlo Capuano, L’ultima sera di Bartolomeo Vanzetti, Cosenza, Città del Sole, 2011, è una sorta di orazione laica, preceduta da una succinta ricostruzione dei fatti. L’autore, con intensa e profonda empatia per Bart, immagina che il condannato a morte ripercorra, in una sorta di sogno, la sua vita passata, i sogni di una vita migliore, l’impegno sociale, l’amicizia con Nicola. Non su Vanzetti, ma di Vanzetti, altri tre testi: Non piangete la mia morte, Firenze, Barbes, 2009 e Roma, Nova Delphi, 2010 e Per l’abolizione di ogni autorità. Lettere su sindacati e sindacalismo, Villafalletto, Il Picconiere, 2007. I primi due volumi (riedizioni degli scritti già pubblicati da Galzerano) raccolgono la breve autobiografia dal titolo Una vita proletaria, numerose lettere e le bellissime, commoventi ultime parole pronunciate prima del verdetto finale; nel secondo volume (riedizione dei testi usciti nel 1957 per l’Antistato di Cesena) sono raccolte sei lunghe lettere, tutte su tematiche sindacali. Due riproposte utili per tenere in vita, di Sacco e Vanzetti, non solo il ricordo delle sofferenze patite, ma anche la luminosità del pensiero. Infine, a testimonianza di un interesse che non viene mai a mancare, un’altra raccolta di lettere dal carcere, questa volta di entrambi i giustiziati, a cura di Lorenzo Tibaldo, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, Lettere e scritti dal carcere, Torino, Claudiana, 2012. Un bel volume di più di 300 pagine, con lettere e scritti apparsi anche su periodici americani dopo la loro morte, in buona parte inediti in italiano. Senz’altro un utile strumento per comprendere più compiutamente lo spessore umano e politico di questi due anarchici, divenuti famosi per la grandiosità della tragedia vissuta, ma che non finiscono di sorprendere per le qualità civili e morali che seppero mostrare di fronte al potere che li voleva morti a tutti i costi.

LA SPAGNA

Passando alla Spagna, va segnalata la riedizione di un classico della saggistica sulla guerra civile e sull’anarchismo spagnolo. Parliamo della riproposta della fondamentale biografia di Abel Paz (pseudonimo di Diego Camacho), Durruti e la rivoluziona spagnola, Pisa - Milano - Ragusa, Biblioteca Franco Serantini, Zero in Condotta, La Fiaccola, 2010. Uscita in Italia in due volumi nel 1999-2000, è senz’altro la più completa biografia del leggendario rivoluzionario Buenaventura Durruti, quella che meglio ci restituisce questa splendida figura di anarchico che dedicò la propria esistenza, tragicamente interrotta sul fronte di Madrid nel 1936, alla causa della trasformazione rivoluzionaria della società. Alla guida della omonima Colonna formata da volontari anarchici e anarcosindacalisti, Durruti rappresentò nella forma più piena lo spirito e l’ardore con il quale il popolo spagnolo si oppose ai generali felloni che volevano imporre la dittatura fascista su tutta la Spagna. Abel Paz, che fu giovanissimo volontario nelle milizie anarchiche, ha saputo integrare la propria passione di militante con il rigore dello storico, ricostruendo in tutte le sue sfaccettature la complessità della rivoluzione libertaria e della lunga guerra civile. Da segnalare il cd che accompagna il libro, sulla avventurosa esistenza di Diego Camacho.
Altrettanto importante, soprattutto come momento di riflessione, il volume Anarchia e potere nella Guerra civile spagnola (1936-1939), Milano, Elèuthera, 2009, nel quale lo storico Claudio Venza affronta gli aspetti più controversi dell’esperienza anarchica in quegli anni. Venza non è solo lo studioso di valore che conosciamo, ma anche un anarchico, e queste due componenti si integrano perfettamente nel suo lavoro. Da una parte c’è la ricostruzione minuziosa delle straordinarie esperienze autogestionarie messe in atto dal popolo spagnolo, abituato da anni a quella ginnastica rivoluzionaria che gli avrebbe permesso di affrontare senza esitazioni le sfide imposte dalla storia; dall’altra rivestono un interesse ancora attuale le considerazioni e le scomode domande sulle contraddizioni che avrebbero tormentato un movimento da sempre contro il potere ma che, spinto dalle necessità della guerra e della rivoluzione, fu costretto a farsi potere esso stesso. Bellissimo il cd allegato, contenente il documentario girato nel 1936, Fury over the Spain, riproposto nel commento di Pino Cacucci e con le voci di Paolo Rossi e Francesca Gatto.
Restando agli anni della Guerra civile, è da segnalare un opuscolo sfuggito nella mia precedente bibliografia. Si tratta ancora una volta di una riedizione, la famosa Protesta davanti ai libertari del presente e del futuro sulle capitolazioni del 1937, Torino, Nautilus, 2006, che un anonimo Incontrolado della mitica Colonna di Ferro ha lasciato come drammatica testimonianza. Scritto senza concedere attenuanti alle scelte “governative” operate dai vertici della Confederación Nacional del Trabajo, l’autore, militante nella più intransigente, e quindi più contrastata, formazione anarchica in armi, pronuncia un’appassionata difesa delle conquiste rivoluzionarie attuate in pochi mesi dal popolo spagnolo, conquiste dapprima “tradite” dagli stessi che le avevano favorite, e quindi stroncate dalla controrivoluzione stalinista, decisa a soffocare qualsiasi tentativo di autonomia dalla propria letale influenza.

Antifascisti italiani in partenza per la Spagna

Di tutt’altro tenore è Miliziano e operaio agricolo in una collettività in Spagna, che contiene il ricordo dell’esperienza a fianco degli anarchici spagnoli scritto da Nils Lätt, l’anarcosindacalista svedese che non si limitò a combattere nelle brigate rivoluzionarie ma partecipò attivamente al lavoro contadino nelle collettività aragonesi. Curato da Renato Simoni e pubblicato nel 2012 da La Baronata di Lugano, questo volume riporta, in appendice, il breve saggio di Marianne Enckell Sui volontari svedesi nella Guerra di Spagna. Altro esempio di questo filone storiografico è l’accurata ricostruzione delle biografie degli antifascisti bresciani che combatterono volontari in Spagna. Preceduto da un lungo excursus storico, questo bel lavoro di Roberto Cucchini, I soldati della buona ventura (militanti antifascisti bresciani nella guerra civile spagnola), Rudiano, Gam Editrice, 2009, presenta i ritratti dei 60 bresciani che, dall’esilio o dall’Italia, accorsero a combattere a fianco del popolo spagnolo. Si tratta di un lavoro particolarmente prezioso, che dovrebbe essere integrato, se fosse possibile, da altri lavori paralleli che contribuissero a ridarci le vite e i caratteri dei miliziani accorsi in Spagna. Una generazione irripetibile che visse un’esperienza senza eguali, e che proprio per questo dovrebbe trovare, come accade in questo libro, il proprio posto non solo nella memoria di chi non dimentica, ma anche nelle pagine dei libri di storia.
La grandiosa risposta che il proletariato spagnolo e quello barcellonese in particolare seppero dare all’alzamiento dei generali nel 1936 non nacque certo per caso, ma fu frutto della lunga pratica rivoluzionaria che gli anarchici avevano esercitato per anni. Duri momenti di lotta e gloriosi momenti nel processo di emancipazione, narrati nel bel libro di Lorenzo Micheli, Los olvidados. Di anarchici e di anarchia, Ragusa, La Fiaccola, 2011. Si tratta della descrizione della unicità della capitale catalana, una fucina rivoluzionaria che vide nelle sue strade il durissimo, tragico e sanguinoso scontro fra i prezzolati sicari di un padronato di rapina e i difensori dell’agibilità sindacale, pronti a rintuzzare, con le stesse armi, le pratiche criminali dei pistoleros pagati per uccidere a freddo i militanti sindacali più in vista. Una vera guerra, con centinaia di morti da entrambe le parti, che fece della Barcellona di quegli anni il paradigma della ineluttabilità dello scontro sanguinoso quando a confrontarsi erano una borghesia banditesca e refrattaria a qualsiasi concessione e un proletariato sindacalizzato pronto a difendere, spesso con la vita, il proprio diritto all’esistenza. Sempre della Spagna tratta il corposo saggio di Fulvio Caporale, Il sogno anarchico. Storia dei sindacati anarchici a Barcellona 1906-1915, Acquaviva delle Fonti, Acquaviva, 2008. Come recita il titolo, l’argomento è la nascita della Cnt e le prime e dure lotte operaie che vedono il progressivo affermarsi delle idee e delle pratiche anarcosindacaliste, premesse per lo sviluppo impetuoso del sindacalismo anarchico confederale. Si tratta di un argomento e di un periodo poco praticati dalla storiografia, e l’accurata ricerca di Caporale permette di approfondire alcuni elementi fra i meno conosciuti della storia rivoluzionaria del popolo spagnolo.

STRAGE DI STATO

Sono passati decenni, ma la strage di piazza Fontana, con quanto ne è seguito, continua a far discutere e a interessare chi non vuole dimenticare la tragedia che ha contribuito a cambiare il corso della storia d’Italia nel secondo dopoguerra. Sono tanti, infatti, i libri che, in occasione del quarantennale della strage, prendono in esame, anche se da diverse angolature, il dramma del 12 dicembre del 1969. Francesco Barilli e Matteo Fenoglio nel volume Piazza Fontana, Pordenone, Becco Giallo, 2009, affrontano il tema da una prospettiva decisamente originale: quella del racconto a fumetti, corredato da una attenta cronologia, dalle interessanti note dello sceneggiatore e dalla prefazione di Aldo Giannuli, uno dei massimi esperti italiani nel campo dei Servizi segreti e delle losche trame statali. Sempre interessante anche la lettura delle pagine di Marco Sassano, uno dei primi cronisti, allora, ad aver capito come effettivamente stessero le cose e a scriverne sul quotidiano «L’Avanti», un tempo glorioso foglio della sinistra e oggi in mano di faccendieri e truffatori. In Pinelli. La finestra chiusa. Quarant’anni dopo, Venezia, Marsilio, 2009, sono riproposti due capitoli de La politica della strage, e la riedizione completa del famoso Pinelli: un suicidio di Stato. L’interesse di questa riproposta sta anche nel verificare come la verità fosse già palese poco dopo quegli avvenimenti, in maniera inversamente proporzionale alla volontà delle magistrature di mezza Italia di scrivere la storia con parole attendibili.

Milano, circolo anarchico 'Ponte della Ghisolfa', 1968
Cesare Vurchio e Giuseppe Pinelli

Decisamente ironica nel titolo, e con contenuti militanti, la pubblicazione curata dalla Unione Sindacale Italiana - Ait, Ma si sa, gli anarchici volano e hanno tre gambe, Carrara, 2009. È una raccolta di testi di vari autori, in gran parte già pubblicati, nei quali si ribadisce la verità che tutti conoscono, anche se molti fingono di ignorare, che Pinelli è stato ucciso, che la strage è stata opera di fascisti conosciuti, che i Servizi (non i cosiddetti Servizi deviati, ma i Servizi) hanno coperto i delitti dello Stato, che Valpreda e gli anarchici avrebbero dovuto fungere da capri espiatori. Non è mai troppo ripetere queste conclusioni, anche se per noi ormai sono “ovvietà”. Più attinenti a momenti specifici altri due libri usciti recentemente. Il primo è quello a più mani di Andrea Sceresini, Nicola Palma e Maria Elena Scandaliato, Piazza Fontana noi sapevamo. Golpe e stragi di Stato. Le verità del generale Maletti, Reggio Emilia, Aliberti, 2010, interessante perché raccoglie, forse per la prima volta, la testimonianza diretta di uno dei protagonisti delle mene statali, il famigerato Gianadelio Maletti, al tempo capo del controspionaggio militare poi rifugiatosi in Sudafrica per sfuggire all’arresto. Come è noto le sue non furono mai “verità”, bensì sordide e interessate menzogne atte a coprire le responsabilità dello Stato nella strage. E ancora una volta questo maestro del depistaggio si esibisce in una sorta di chiamata in correo (ora può permetterselo, sicuro dell’impunità sua e di altri) delle più alte autorità dello Stato, a conoscenza a suo dire – e c’è da credergli – dei retroscena di tutte le trame nere e grigie di quegli anni. Basato anche questo sulle vicende di un singolo personaggio, ma in questo caso onesto e quindi colpito dalla repressione dei suoi superiori, il saggio di Antonella Beccaria e Simona Mammano, Attentato imminente, Viterbo, Stampa Alternativa, 2009. I due autori, infatti, ricostruiscono le amare vicende di Pasquale Juliano, nel 1968 commissario alla Questura di Padova, uno dei primi ad indirizzare le indagini sugli attentati del 1969 negli ambienti fascisti padovani e veneti e per questo non solo rimosso dalle indagini ma anche sottoposto a pesanti provvedimenti disciplinari, tra cui il trasferimento a Ruvo di Puglia, dove non avrebbe potuto fare danni. Resta la convinzione che, se non fosse stato fermato, la sua azione avrebbe contribuito ad ostacolare, se non a fermare, le manovre stragiste del Potere.

Manifestazione giovanile in ricordo della strage
di piazza Fontana

Non potevano mancare, fra i tanti, alcuni lavori che, francamente, non possiamo che definire strumentali, se non addirittura scorretti. Roberto Gremmo costruisce un altro tassello della sua ormai lunga opera di evidente mistificazione della storia del movimento anarchico con Il triangolo delle bombe. Gli attentati all’Arcivescovado di Milano dal 1919 a piazza Fontana, Biella, Storia Ribelle, 2011. Già dal titolo si possono intuire le intenzioni dell’autore, che con un fardello di citazioni gratuite e di improbabili collegamenti costruisce una storia a suo esclusivo uso e consumo. La sua intenzione, infatti, è quella di dimostrare, con toni sensazionalisti, la presunta continuità di fatti risalenti al lontano passato con quelli relativi alla strategia della tensione. Un puro esercizio teorico, maldestro e non riuscito. Un altro lavoro “revisionista” è quello di Massimiliano Griner, Piazza Fontana e il mito della strategia della tensione, Torino, Lindau, 2011. Obiettivo principale dell’autore è destrutturare quelli che ritiene i luoghi comuni che hanno fatto seguito alla bomba di piazza Fontana, e quindi riconsiderare da altre prospettive la morte di Pinelli e la relativa innocenza di Calabresi, il ruolo dello Stato nella costruzione della strategia e nei suoi depistaggi, l’importanza della controinformazione militante per arrivare a una verità condivisa. Insomma, fingendo obiettività e coraggio, un lavoro teso a ribaltare verità consolidate, non a caso principalmente impostato sulle dichiarazioni, passate e recenti, degli ambienti neofascisti che furono coinvolti nelle indagini. Ben più importante dei due precedenti, se non altro per la risonanza avuta, l’ormai famoso libro di Paolo Cucchiarelli, Il segreto di piazza Fontana, Milano, Ponte alla Grazie, 2009. Dove si affaccia per la prima volta (e confidiamo che sia anche l’ultima) la tesi che a compiere l’attentato di Piazza Fontana siano stati in due: uno sconosciuto fascista che avrebbe messo la bomba “buona” e Valpreda (spalleggiato dagli anarchici milanesi e romani) che, a sua volta, avrebbe messo quella taroccata. Più di 600 pagine per dimostrare il coinvolgimento degli anarchici e la sostanziale omertà, se non complicità, di Pinelli. Questo libro ha suscitato ancor più polemiche di quelle che avrebbe meritato, in quanto i diritti (e quindi anche alcuni contenuti) sono stati acquistati dalla casa produttrice del film di Marco Tullio Giordana, Romanzo di una strage. Di questo argomento si è parlato abbondantemente anche su questa rivista, per cui non è il caso di tornarci, se non per ribadire che le tesi di Cucchiarelli non hanno avuto credito non solo negli ambienti a noi più vicini, ma anche presso gli organi statali che, a vario titolo, si sono occupati di Piazza Fontana, di Valpreda e di Pinelli.
A Cucchiarelli del resto ha risposto, con la durezza che le sue tesi meritavano, Adriano Sofri nel lungo saggio 43 anni. Piazza Fontana, un libro, un film, per ora apparso solo in rete nel 2012 ma probabilmente destinato alla pubblicazione. Con questo lavoro l’ex leader di Lotta Continua, già condannato (a mio parere ingiustamente), per l’assassinio del commissario Calabresi, smonta, con le capacità dialettiche che gli conosciamo, tutto l’apparato sul quale sono impostate le considerazioni di Cucchiarelli, dimostrandone a più riprese l’inconsistenza e la gratuità. Non si tratta solo di un lavoro di indagine, peraltro ottimamente riuscito, ma anche di un sentito omaggio alla memoria di Giuseppe Pinelli. Del resto Adriano Sofri aveva dedicato al ferroviere anarchico il bel libro La notte che Pinelli, Palermo, Sellerio, 2009, nel quale ha ricostruito con sensibilità e precisione l’atmosfera e le drammatiche vicende che quella notte del 15 dicembre 1969 videro Pinelli precipitare dalla stanza nella quale Calabresi e i suoi uomini lo stavano trattenendo illegalmente da quasi tre giorni. Impostato sull’artifizio retorico di raccontare quelle vicende a una ragazza di vent’anni che nulla può sapere, Sofri non esita a denunciare, ancora una volta, le miserie, i sotterfugi, le infamie con le quali lo Stato e i suoi esecutori si accanirono, mille contro uno, verso un ferroviere anarchico, tanto innocente quanto determinato a resistere alla criminalità delle istituzioni.
Per finire, registro con piacere la ristampa di quello che continuo a ritenere il testo fondamentale su piazza Fontana. Si tratta del libro di Luciano Lanza, Bombe e segreti. Piazza Fontana, una strage senza colpevoli, Milano, Elèuthera, 2009. L’autore, militante dello stesso gruppo di Pinelli, ricostruisce con una linearità ammirevole quelle vicende, utilizzando non solo la penna del cronista attento a spiegare con efficacia i fatti e i percorsi giudiziari, ma anche quella del compagno e dell’amico che vuole ricordare e far conoscere. Il saggio è corredato da una lunga intervista a Guido Salvini, il solo magistrato che ha cercato, con serietà e dedizione, di arrivare a una sentenza definitiva di condanna dei fascisti autori materiali della strage. Una serietà premiata con una verità storica e giudiziaria, ma anche inficiata dai perversi meccanismi della giustizia.

LETTERATURA

Come già nelle edizioni precedenti di Leggere l’anarchismo, la sezione letteraria si presenta piuttosto ricca, a maggior ragione volendo comprendere, questa volta, anche alcuni testi non esattamente di carattere letterario, ma per certi aspetti assimilabili ad essi in virtù dell’impianto narrativo. E comincio da questi.
Il primo volume, anche se non proprio “anarchico”, merita comunque una segnalazione, in ragione del suo sforzo di ricondurre alla comprensione e alla integrazione di popoli e culture attraverso un percorso culinario. Impostazione che appartiene a pieno titolo al pensiero libertario. Si tratta di Andrea Perin, Ricette scorrette. Racconti e piatti di cucina meticcia, Milano, Elèuthera, 2009. Una raccolta di ricette provenienti dai più diversi paesi, accompagnate da lunghe e belle interviste-conversazioni con chi ha proposto i piatti della propria tradizione rivisitati da invenzioni, appunto, “scorrette” perché “contaminate”. Altri tre libri di cucina sono Ricette anarchiche, Ricette libertarie e Les Cuisiniers dangereux, ovvero cuochi pericolosi, canzoni taglienti & temerarie narrazioni di storie accidentalmente vere, tutti curati da Rino De Michele e pubblicati rispettivamente nel 2008, 2009 e 2011 per le coedizioni ApARTe°, Venezia e La Fiaccola, Ragusa. Anche qui non si tratta di semplici ricette, tra l’altro spesso imprevedibili, ma di fitte narrazioni su fatti e personaggi di ieri e di oggi, che accompagnano e illustrano il perché e il percome dei piatti presentati. Senza dubbio si tratta di libri non solo istruttivi ma anche stimolanti, capaci di far riflettere sul nesso fra cucina e vita quotidiana, spesso segnata dalla fame atavica e dalla sofferenza, ma altrettanto spesso da una gioia di vivere che sapeva esprimersi soprattutto a tavola. Da segnalare il bellissimo e puntuale apparato iconografico, felice contributo di Fabio Santin e dell’équipe di ApArte. Sempre per i tipi di ApArte è uscita una nuova rivisitazione futurista di Alberto Ciampi, Arte & Anarchia. Il “caso” Futurismo: l’incontro con gli anarchici (Venezia, 2009), che nasce dalla relazione tenuta a Milano presso la libreria Tikkum nel 1999, in occasione di una tavola rotonda incentrata sul tema L’Anarchia. Storia e cultura.

Umberto Tommasini in un disegno di Fabio Santin

Veniamo ora alla letteratura vera e propria, partendo dalla riedizione di un romanzo ottocentesco che, nonostante l’età, non ha perso nulla del suo vigore. Si tratta dell’opera dello scrittore anarchico francese Georges Darien, Biribi. Disciplina militare, Roma, Le Nubi edizioni, 2009. È un lavoro che ebbe all’epoca notevole fortuna perché la sua forte denuncia contribuì a far sopprimere, dopo aspre polemiche, le Compagnie di disciplina attraverso le quali il colonialismo francese controllava con feroce crudezza tanto le popolazioni soggette quanto i suoi elementi più difficili. Come si dice, a volte ne uccide più la penna che la spada! Rimanendo nel milieu anarchiste, ecco il racconto di Marius Jacob, I lavoratori della notte, Lecce, Bepress, 2010. Leggendario anarchico espropriatore, autore di una memorabile autodifesa pronunciata nel processo che lo condannò ai lavori forzati, Jacob scrive in pratica un’autobiografia, narrando le vicissitudini di alcuni «lavoratori della notte» incappati in un incidente di percorso, braccati per alcuni giorni dalla gendarmeria e infine pescati dopo rocambolesche avventure. Una lettura interessante, anche se, va detto, non di eccelsa qualità, capace comunque di aprire uno squarcio “verista” sull’ottocentesco mondo degli anarchici della réprise individuale. Decisamente curioso è poi il libretto di Félix Feneon, Romanzi in tre righe, Milano, Adelphi, 2009. Come si evince dal titolo, si tratta di brevi, paradossali romanzi scritti in non più di tre righe, «una per l’ambiente, una per la cronaca più o meno nera, una per l’epilogo a sorpresa». Per dare un esempio dello stile e dell’originalità di questo scrittore che è stato a lungo militante anarchico a tempo pieno: «“Ahia, una perla” ha gridato il truffatore mangiando un’ostrica. / Il suo vicino di tavola l’ha comprata per 100 franchi. / Prezzo dell’articolo al mercatino di Maison-Laffitte, 30 soldi».
Di tutt’altro tenore il paradossale romanzo di Gilbert K. Chesterton, L’uomo che fu giovedì, riproposto da Bompiani dopo una lunga assenza dalle librerie (Milano, 2009). Scritto a cavallo fra Otto e Novecento in un paese dove la simpatia per gli anarchici non era certo diffusa e dell’anarchismo si aveva un’idea tenebrosa, il testo narra le grottesche vicende di una setta segreta nella quale ogni componente, per salvaguardare il proprio anonimato, assume il nome di un giorno. E il protagonista, che si rivela un agente infiltrato di Scotland Yard, assume il nome di Giovedì. Si tratta di un lavoro stravagante, ricco di colpi di scena e di situazioni improbabili, con il quale si voleva forse esorcizzare la paura dell’anarchismo dinamitardo così attivo in quell’epoca. Un altro lavoro decisamente e volutamente paradossale è quello di Fernando Pessoa, Il banchiere anarchico, ristampato, dopo l’edizione di Adelphi, per i tipi di Nova Delphi, Roma, 2010. Introdotto con la abituale piacevolezza da Fulvio Abbate, questo racconto può essere sintetizzato in questo interrogativo: «Può un “pescecane”, un “affamatore del popolo”, può anzi Caino in persona affermare se stesso come un esempio di “specchiata” credibilità anarchica, addirittura filologicamente fedele ai codici del pensiero libertario?». A nostro parere, pur cogliendo la voluta provocazione, la risposta è necessariamente no, ma per il grande scrittore portoghese, forte di una dialettica stringente e per nulla scontata, evidentemente è sì.
È stato il caso teatrale degli ultimi anni, rappresentato nei teatri di Londra, Tokio, New York, Mosca, il testo dell’inglese Tom Stoppard, La sponda dell’utopia, Palermo, Sellerio 2012, che ha dato vita, in Italia, all’impresa registica di Marco Tullio Giordana, The Coast of Utopia (31 attori in scena per una durata di sette ore e mezzo complessive), premiata nel 2012 dal prestigioso Premio Ubu come spettacolo dell’anno e come miglior testo straniero rappresentato in Italia. La trilogia, scritta nel 2002, mette in scena gli ambienti della intellighenzia russa della prima metà dell’Ottocento e ha come protagonisti personaggi quali Aleksandr Herzen, Vissarion Bielinski e il giovane Michail Bakunin con tutta la famiglia. Un affresco su una realtà destinata a creare profondi mutamenti nell’intera Europa, qui rappresentata nelle sue aspirazioni riformatrici spesso contraddette dalla realtà quotidiana e dalle abitudini di una piccola proprietà terriera, sicuramente liberaleggiante ma ancora legata ai vecchi privilegi. Un testo decisamente fuori dall’ordinario che merita il successo di pubblico e di critica registrato ovunque sia stato rappresentato.

Michael Bakunin

Vengo ora a parlare di un libro che ha una storia che mi riguarda. Scoprii l’edizione originale presso una libreria antiquaria, la lessi e ne parlai nella rubrica Ritratto in piedi proprio su «A». Evidentemente si trattava di una copia pressoché unica perché i pronipoti del tipografo che aveva stampato la prima edizione nel 1879, anch’essi tipografi-editori, trovatane notizia sul web, mi contattarono chiedendomi in prestito l’esemplare originale per farne una nuova edizione. E così è avvenuto: l’ho prestato e oggi è a disposizione di un pubblico decisamente più ampio. Si tratta del romanzo sociale di Emilio Tanfani, I minatori ovvero Internazionale e Comune, stampato nel 1879 dalla tipografia Sette Comuni di Asiago e nel 2009, in copia anastatica, dalla Tipografia Rigoni di Piove di Sacco. Scritto per mostrare la possibilità di una integrazione feconda fra le esigenze della nascente classe operaia e quelle della nuova borghesia imprenditoriale, il romanzo, a volte a tinte un po’ troppo fosche, descrive il felice risolversi del contrasto fra lavoro e capitale grazie al fortunoso ravvedimento dei proletari più focosi e alla buona volontà di un padrone comprensivo e lungimirante. Il tutto condito dalla immancabile storia sentimentale. Un interessante tentativo, piacevole e di ottima scrittura, di esorcizzare quella che sarebbe diventata una costante della società italiana.
Di tutt’altro segno, quanto a descrizione del conflitto fra lavoro e capitale, è il bel romanzo di Filippo Manganaro, Un sogno chiamato rivoluzione, Roma, Nova Delphi, 2012. Vi si narra l’avvincente, drammatica ma anche esaltante storia di una famiglia di ebrei russi, in fuga dai frequenti pogrom della Santa Russia e approdata negli Stati Uniti dopo un lungo peregrinare. Militanti proletari, internazionalisti e decisi fautori di una solidarietà di classe senza incrinature, i componenti di questa famiglia, soprattutto il nonno Shlomo e la nipote Chaya, dedicano la loro esistenza alla causa del lavoro, una causa che non sarà scalfita da nessuna sconfitta, tragedia, crudeltà razziale o sfruttamento spietato. Una lettura che voglio raccomandare, perché in queste pagine ritroviamo tutti i momenti della storia della sinistra, quella vera, del Novecento.
Una bella sorpresa è anche il romanzo di Piero Pieri, Les nouveaux anarchistes. Atti intollerabili di disperazione a Bologna, Massa, Transeuropa, 2010, un racconto duro come dura è la realtà con la quale si scontrano le nuove generazioni di studenti e precari, alle prese con una società che non sembra avere alcuna intenzione di rispondere ai loro bisogni. Troviamo giovani che affiancano, alla disperazione a cui li si vorrebbe condannare, una determinazione tanto feroce quanto liberatoria, che dà loro la capacità di reagire, con lucida follia, alle prepotenze del potere. Uno spaccato interessante e crudo degli ambienti universitari bolognesi, del mondo del precariato manuale e intellettuale, delle storture di una società apparentemente ordinata e ben funzionante. Abbastanza simile nello spirito è Macnovicina. L’eccitante lotta di classe, un curioso racconto di Alberto Piccitto (Milano, Zero in Condotta, 2011), anche se il tono è senza dubbio meno duro e drammatico. Infatti si parla di un nuovo tipo di lotta di classe, quella che un “vecchio” militante, mai domo, sperimenta inondando la ricca borghesia metropolitana di una nuova droga chiamata macnovicina (e per un anarchico è chiaro il perché di questo nome), di ottima qualità e prezzo abbordabile, capace di sbalestrare i suoi consumatori (alti prelati, industriali, politici “perbene”, ecc.) al punto da renderli oltre che ridicoli anche facilmente manipolabili. Nei due romanzi, come si può capire, sono descritte due metodologie totalmente diverse ma, sembrerebbe, altrettanto efficaci.
La rivoluzione è una suora che si spoglia. Storie di scrittori e anarchie è un’antologia di racconti brevi pubblicata dalla Biblioteca Franco Serantini di Pisa nel 2009. Raccoglie gli scritti di Abbate, Bertante, Cacucci, Cardinali, Colagrande, Evangelisti, Maggiani, Nori, Philopat, Tassinari e Vighi. Come si vede una bella batteria di spiriti anarchici e libertari, che offrono altrettanti testi inediti, tutti improntati a una personale interpretazione dell’approccio con il pensiero e il movimento anarchici. Come si può immaginare, si tratta di una lettura molto gradevole, con toni spesso imprevisti, in grado di mostrare come e quanto sia vario il modo di entrare in contatto con la nostra storia.

Diavolindo Latini

Molto curioso, sia come struttura narrativa sia come scelta dell’argomento, il racconto con il quale Andrea Tarabbia ne Il cimitero degli anarchici, Milano, Franco Angeli, 2012, ricostruisce le non esemplari vicende del sedicenne anarchico Diavolindo Latini, figlio di Giovanni Gavilli e Aida Latini, che negli anni Venti, dopo aver ucciso un compagno e ferito un agente di polizia, verrà rinchiuso in manicomio per alcuni anni, fino alla morte prematura. Ambientato idealmente nell’ospedale psichiatrico di Mombello, il racconto riporta le immaginarie conversazioni avute dall’autore con Diavolindo, con il compagno da lui ucciso Carlo Porro, con l’anarchico Amleto Astolfi e con altri protagonisti di quelle vicende. Uno squarcio interessante, anche se non sempre convincente, su anni e ambienti particolarmente confusi e spesso equivoci.
Alessio Lega non ha bisogno di presentazioni per i lettori di «A», e Ascanio Celestini, l’eclettico e straordinario inventore di favole storiche e storie quotidiane, è senz’altro una figura di riferimento per quanti di noi amano ritrovarsi nelle sue coinvolgenti affabulazioni. I due si sono felicemente incontrati per dare vita a un lungo colloquio nel quale Ascanio svela il proprio mondo e narra, non una storia, ma la sua storia, quella che lo ha portato a raccontare, con un ritmo avvolgente, a teatro, nei libri, al cinema, le grottesche miserie che tutti, giorno dopo giorno, abbiamo sotto gli occhi. Tutto questo in Incrocio di sguardi. Conversazione su matti, precari, anarchici e altre pecore nere, Milano, Elèuthera, 2012, un libro che consente di approfondire non solo la conoscenza della poetica di Celestini, ma anche i procedimenti narrativi e antropologici attraverso i quali egli elabora e realizza i suoi spettacoli, che superano i confini del teatro civile per tracciare una nuova via del teatro politico e di intervento.
Per concludere, due raccolte poetiche e una riproposta. La prima, curata da Pino Vermiglio, è l’antologia di poesie di Bruno Misefari, Schiaffi, carezze e altro, Reggio Calabria, Ogginoi, 2009, una raccolta di versi che «l’anarchico di Calabria» scrisse nel corso della sua tribolata esistenza. Arricchito da numerose illustrazioni, questo volume “alla memoria” vuole ricordare una delle figure più importanti e significative dell’anarchismo calabrese. Molto belle, specchio di forte personalità e di robusto impegno sociale, le poesie di Riccardo Solari, raccolte nel volume Satirik. Rime per un regime, edito dai suoi compagni dell’Archivio Germinal di Carrara nel 2011. Solari, a quanto pare, è autore particolarmente prolifico, e «solito, nei momenti conviviali, improvvisare canzoni sui fatti del momento». E infatti le poesie qui raccolte sono solo una parte delle tante scritte nell’ultimo anno. Vista la qualità, non resta che augurargli di continuare come già sta facendo. La riproposta è la riedizione de Il canto anarchico in Italia nell’Ottocento e nel Novecento, Milano, Zero in Condotta, 2009, di Santo Catanuto e Franco Spirone. Come nella prima edizione, troviamo la raccolta pressoché completa di quanto il sentimento e la cultura degli anarchici hanno prodotto per manifestare, in musica, le aspirazioni, le proteste, le denunce, le gioie e i dolori delle classi subalterne. Il tutto accompagnato da un apparato critico e musicale quanto mai esauriente. Per chi abbia voglia di intonare una delle nostre belle canzoni, non ci sarà che l’imbarazzo della scelta.

ANTIFASCISMO

Nel 1922 l’editore bolognese Licinio Cappelli pubblicava, per la Biblioteca di Studi Sociali, una serie di saggi riguardanti la nascita del fascismo in Italia. La stesura di questi saggi era affidata ai rappresentanti delle varie forze politiche e sociali operanti nel Paese; così Dino Grandi parlava per i fascisti, Guido Bergamo per i repubblicani, Mario Missiroli per i liberali, Giovanni Zibordi per i socialisti e così via. A parlare a nome degli anarchici fu invitato, e non poteva esserci scelta migliore, Luigi Fabbri, che scrisse un testo di tale lucidità e capacità di analisi da diventare un classico. Oggi le Edizioni Zero in Condotta lo ripubblicano mantenendone il titolo originario (Luigi Fabbri, La controrivoluzione preventiva, Milano, 2009) e consentendo di far apprezzare l’intelligenza dell’anarchico di Fabriano, che seppe cogliere, fin dal suo sorgere, i tratti essenziali che permisero al fascismo di imporsi. Nella prefazione della Assemblea Antifascista permanente di Bologna si riprendono i contenuti del testo di Fabbri, riaffermando il carattere di classe del fascismo, che dispose il «formarsi di una cultura reazionaria di massa promossa dallo Stato e dalla borghesia, con la triplice azione combinata della violenza illegale fascista, della repressione legale governativa e della pressione economica derivante dalla disoccupazione».

Congresso del Libero Pensiero, Roma, settembre 1904.
Da sinistra a destra, terzo in prima fila, Foscolo Fabbri;
alla sua sinistra, un po'indietro, Luigi

L’affermarsi del fascismo, comunque, nonostante queste sinergie, non fu la passeggiata che avrebbe voluto essere, ma si scontrò con forti risposte popolari che in più occasioni, quando il combattimento fu ad armi pari, lo misero fortemente in discussione. In questi ultimi anni sono fioriti gli studi sul fenomeno, non più trascurato, degli Arditi del Popolo, quelle formazioni paramilitari che accettarono lo scontro coi fascisti sul loro terreno, e che spesso furono in grado di infliggere alle squadracce sonore batoste. Va detto che questa fioritura di studi si è resa possibile anche grazie alla fine della egemonia culturale esercitata, nel campo della storia sociale contemporanea, dal Partito Comunista, diretto erede di quel PCd’I che già allora, come dimostrano ad abundantiam i saggi di cui parliamo, si rifiutò di appoggiare l’arditismo popolare, quando non cercò di boicottarne la nascita. E questo perché temeva, e a ragione, di non poterlo controllare.

Riunione del fuoruscitismo parigino, per dare l'addio
all'anno 1926 (31-12-1926), nella 'Popote'di Nullo Baldini.
Luigi Fabbri è il primo a sinistra. Si possono riconoscere
tra gli altri Sandro Pertini, Vera e Giuseppe Emanuele
Modigliani, Pietro Nenni, Filippo Turati, Giovanni Faraboli

Della storia generale degli Arditi del Popolo si occupa Marco Rossi, Arditi non gendarmi. Dalle trincee alle barricate: arditismo di guerra e arditi del popolo (1917-1922), Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2011. In questa riedizione (la precedente è del 1997) Rossi presenta nuovi documenti che permettono di delineare ancora meglio la sottile linea di continuità che legò l’arditismo di guerra (è un errore definirlo come un fenomeno solamente prefascista), l’esperienza fiumana (anch’essa una vicenda molto meno lineare di quello che si pensi) e l’arditismo popolare vero e proprio, nato come esigenza di autodifesa proletaria in contrapposizione alla violenza fascista e statale. Sempre di Marco Rossi un altro lavoro dedicato alla lotta degli anarchici contro il fascismo. Questa volta in un contesto più locale: è infatti ambientato nella sua città il volume Livorno ribelle e sovversiva. Arditi del popolo contro il fascismo 1921-1922, Pisa, Bfs, 2012, dove racconta la forte e ostinata resistenza che gli Arditi del Popolo seppero opporre alle violenze dello squadrismo fascista.
Come è facile immaginare, gli anarchici furono parte integrante e spesso “dirigente” di queste formazioni, e ciò appare non solo nei libri di Rossi, ma anche nei due volumi che si occupano principalmente degli avvenimenti romani. Si tratta dei lavori di Valerio Gentili, La Legione romana degli Arditi del Popolo, Roma, Purple Press, 2009 e Roma combattente. Dal “Biennio Rosso” agli Arditi del Popolo, Roma, Castelvecchi, 2010. In questi due libri (il secondo a complemento del primo) Gentili descrive la forte risposta popolare che il proletariato romano dette allo squadrismo, riuscendo addirittura a rendere zona franca alcuni dei quartieri proletari dell’Urbe. L’Arditismo popolare non nacque in tutte le città italiane ma si sviluppò a macchia di leopardo, mostrandosi forte in alcune zone, soprattutto del centro Italia, e assente in altre. Come scrive Gentili, Roma fu uno dei centri più combattivi, producendo una gloriosa esperienza che solo la Marcia su Roma e la successiva presa del potere da parte di Mussolini riuscirono a liquidare.
Come è noto la volontà di opporsi al fascismo non si esaurì con l’arditismo, ma continuò sotto altre forme per tutto il ventennio. Uno degli strumenti di lotta più frequentato, anche se senza successo, fu l’attentato individuale contro il Capo del Governo, e infatti non pochi furono i tentativi – quasi sempre per opera di anarchici – di eliminare, con il Duce, il regime fascista. Uno dei primi fu quello dell’anarchico carrarese Gino Lucetti nel 1926. Fallito l’attentato, Lucetti fu arrestato e tenuto in carcere fino al 1943 e le lettere che scrisse dalla casa di pena hanno ora trovato una curatrice e un editore. Si tratta di Marina Marini, Gino Lucetti. Lettere dal carcere dell’attentatore di Mussolini (1930-1943), Casalvelino, Galzerano, 2010. In questo volume, con la prefazione di Claudio Venza e un ricco apparato documentario, possiamo apprezzare la forte personalità e la determinazione di Lucetti, che riuscì a mantenere le sue ferme convinzioni, se non ad arricchirle, nonostante i lunghi anni trascorsi da recluso.

Gino Lucetti

Un altro lavoro sull’antifascismo è quello di Giuseppe Aragno, Antifascismo popolare. I volti e le storie, Roma, Manifestolibri, 2009, che raccoglie una bella galleria di personaggi napoletani di diversa estrazione sociale e di diversa formazione politica, accomunati dal desiderio di libertà e dalla volontà di non capitolare di fronte alla violenza e alla prepotenza fascista. Vi si incontrano figure note e meno note, anarchici e non anarchici, tutti a documentare la ricchezza delle testimonianze antifasciste. Scritto anche con l’intenzione, esplicitata nella prefazione, di mostrare come il famoso “consenso”, che secondo De Felice sarebbe stato di massa ed incontrastato fino alla guerra, in effetti fu incrinato da forme di dissenso più o meno palesi, molto più numerose di quanto non si creda. Se ne ricava una dimostrazione ulteriore leggendo il bel libro di Filomena Gargiulo, Ventotene isola di Confino. Confinati politici e isolani sotto le leggi speciali (1926-1943), Genova, L’Ultima spiaggia, 2009. Ventotene, fra tutte le località destinate ad accogliere gli oppositori al fascismo, fu una delle più importanti e affollate. Da essa, grazie al lavoro di ricerca di alcuni studiosi, stanno oggi riaffiorando storie quasi dimenticate, delle quali è necessario ritrovare la memoria. Filomena Gargiulo ricostruisce la realtà quotidiana del confino, dalle condizioni di vita dei confinati (quanti gli anarchici!) alle regole imposte dal regime, dalle strutture di controllo ai rapporti con gli isolani, componendo un quadro esaustivo per comprendere l’inumanità di questa “istituzione”, che colpiva, senza processo e in assenza di reati, quanti apparivano pericolosi per la stabilità del regime.
Finita la guerra, crollato il regime fascista, non sempre e non ovunque finisce anche la lotta partigiana. Anzi, nonostante i tentativi di controllo da parte del Partito Comunista e delle altre forze istituzionali, preoccupate che l’onda lunga della Resistenza mettesse in crisi la neonata concordia nazionale, furono molte le situazioni che videro intere formazioni partigiane riprendere le armi per difendere ciò che era stato conquistato e per completare l’opera iniziata nel 1943. Ne scrive, con ricchezza di documentazione, Marco Rossi, nel suo Ribelli senza congedo. Rivolte partigiane dopo la Liberazione 1945-1947, Milano, Zero in Condotta, 2009, mostrando come i tentativi di spegnere definitivamente il “vento del nord” trovassero molti più ostacoli di quanti si sarebbe potuto immaginare. Forse, se allora si fosse andati fino in fondo, oggi non ci sarebbero argomenti di studio (almeno in Italia) per Saverio Ferrari che, nel suo Le nuove camicie brune. Il neofascismo oggi in Italia, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2009, descrive la progressiva involuzione dei fascisti italiani i quali, a quanto sembra, non si accontentano più di rimpiangere il Duce e il suo Impero di cartone, ma sognano addirittura una riedizione del Terzo Reich. A dimostrazione del fatto che, come diceva mio padre, al mondo non c’è stupido che non ci sia uno più stupido! E qui abbiamo a che fare con un bello stuolo di contendenti.

FEMMINISMO

Non sono state poche, né di poco rilievo, le donne militanti attive nel movimento anarchico. Inserite in un ambiente che, a rigor di logica, doveva prevedere completa parità e rispetto reciproco (anche se non sempre e non in tutte le situazioni questo rispetto era davvero tale), seppero dare all’attività e alla propaganda del movimento un apporto non solo importante ma spesso anche originale. Senza dubbio una delle figure di maggiore rilievo, e forse anche la più nota, è la comunarda Louise Michel, l’eroina della Comune di Parigi, l’indefessa attivista a difesa degli oppressi ovunque la sua vita avventurosa la portasse, nemica irriducibile di ogni forma di autorità e ingiustizia sociale. Più che opportuna, quindi, la succinta biografia di Anne Sizaire, Louise Michel. La “viro major”. Breve storia (1839-1905), Ragusa, La Fiaccola, 2012, arricchita, in calce dai versi che le dedicarono Paul Verlaine e Victor Hugo.
Uno sguardo d’insieme sulla presenza femminile anarchica nelle prime lotte operaie di fine Ottocento è quello di Elena Bignami, che nel suo corposo studio «Le schiave degli schiavi». La “questione femminile” dal socialismo utopistico all’anarchismo italiano (1825-1917), , affronta le dinamiche che investirono il mondo femminile al contatto con le nuove ideologie sociali. La prima parte «affronta le radici storiche dell’emancipazionismo femminile esaminando quei classici del pensiero socialista (Saint-Simon e Fourier) che hanno costituito la base teorica dell’anarchismo italiano». La seconda, che ci riguarda più da vicino, mostra come la presenza femminile all’interno dei movimenti sociali fosse ben più radicata e diffusa di quanto non si potesse pensare, e offre lo spaccato di una serie di figure di indubbio spessore, sia teorico che militante. Il merito di questo innovativo lavoro è soprattutto quello di avere fornito un quadro di insieme a queste presenze dimostrandone l’assoluta non marginalità.

Giovanna Berneri Caleffi con le figlie

Un altro ritratto collettivo delle anarchiche più conosciute lo fa Massimo Lunardelli, Dieci pericolosissime anarchiche, Torino, Blu Edizioni, 2012, che accompagna la ricostruzione storica delle protagoniste e del loro ambiente con le note di polizia che periodicamente ne descrivevano l’attività, e i «costumi morali». A leggere i rapporti della questura, come c’è da aspettarsi, sembrerebbe di avere a che fare con persone «di dubbia moralità che riscuotono cattiva fama», ma proprio queste osservazioni ci fanno capire l’integrità e il coraggio con le quali le varie Cavedagni, Cravello, Peani, Corsinovi, Giacomelli affrontavano gli ostracismi e le angherie che la società riservava loro. Un ritratto di gruppo simile, questa volta internazionale, è quello composto da Giovanna Frisoli e Amerigo Sallusti, che ricostruiscono i percorsi di vita di alcune rivoluzionarie del secolo scorso nel volume Le Pasionarie. Storie di donne che hanno cambiato il mondo, Ghezzano, Felici, 2011. Forse queste donne non hanno cambiato il mondo, ma sicuramente le anarchiche spagnole mujeres libres hanno soprattutto contribuito a migliorarlo, dando il loro fondamentale apporto al tentativo di costruire il mondo nuovo che portavano nei loro cuori.
Leda Rafanelli è la più conosciuta fra le anarchiche italiane. Figura eclettica, propagandista popolare, romanziera di successo, musulmana e chiromante, spirito libero quanti altri mai, continua a destare l’interesse degli storici e di quanti vogliono approfondire la conoscenza delle figure più originali del secolo scorso. Curati da Fiamma Chessa, sono usciti gli atti della giornata di studi organizzata a Reggio Emilia nel 2007: Leda Rafanelli tra letteratura e anarchia, Reggio Emilia, Biblioteca Panizzi - Archivio Famiglia Berneri Aurelio Chessa, 2009, un corposo volume che raccoglie una decina di relazioni dalle quali emerge tutta l’originalità della vita e dell’opera di Leda. Giovanna Caleffi Berneri ha affrontato l’impegno militante della Rafanelli, partendo da prospettive decisamente diverse dalle sue e da un differente ruolo all’interno del movimento anarchico. Vedova di Berneri e madre di Giliana e Maria Luisa, nell’immediato secondo dopoguerra fu fra le protagoniste della ripresa anarchica in Italia dopo le tenebre del fascismo.

Maria Rygier

Compagna di Cesare Zaccaria, che poteva disporre di discrete risorse finanziarie e di molte conoscenze, Giovanna ha contribuito alla nascita di alcune delle iniziative più importanti del movimento anarchico, tra le quali la rivista «Volontà» e le colonie marine per i figli dei compagni, prima a Sorrento e poi a Marina di Carrara. Le è stato dedicato un volume che ne raccoglie gli scritti: Giovanna Caleffi Berneri, Un seme sotto la neve. Carteggi e scritti. Dall’antifascismo in esilio alla sinistra eretica del dopoguerra, a cura di Carlo De Maria, Reggio Emilia, Bibl. Panizzi e Arch. Fam. Berneri - A. Chessa, 2010, dal quale emerge non solo la bella figura piena di umanità e determinazione dell’attivista anarchica, ma anche lo spessore intellettuale che espresse nei tanti articoli apparsi sulle “sue” testate.
Meno conosciuta, ma non per questo meno interessante, è l’attività dell’anarchica pugliese Elvira Catello, propagandista e feconda autrice di lavori teatrali dal forte carattere popolare, che trascorse la sua vita di attivista fra la nativa Locorotondo e New York. Mario Gianfrate, Jennifer Guglielmo e Vito Antonio Leuzzi ne tracciano la biografia nel libro Elvira Catello e la “Lux” tra utopia e libertà. Una pacifista pugliese a New York nel 900, Bari, Edizioni del Sud, 2011, facendo riemergere non solo l’impegno sociale della donna, ma anche lo spaccato della comunità sovversiva italoamericana dei primi decenni del ‘900. In appendice la riproposta di uno dei suoi numerosi lavori teatrali, Il trionfo della verità (sulla religione), utile per capire la presa della drammaturgia anarchica fra i lavoratori e i liberi pensatori di Little Italy.

Elvira Catello (al centro) con due sorelle

Citiamo infine la ristampa di un classico, Anarchia e femminismo, Pisa, BFS, 2009, una preziosa raccolta di testi con i quali l’anarchica statunitense Emma Goldman, una delle figure più importanti del pensiero sovversivo europeo e nordamericano, ha posto alcune delle premesse del movimento di liberazione della donna. Attiva in Europa, in America, in Russia, sempre pronta a dare il suo apporto e a portare la sua parola come stimolo alla lotta, Emma la Rossa ha contribuito a sviluppare quel pensiero “altro” che vedeva nella emancipazione femminile non solo la libera espressione delle potenzialità delle donne, ma anche un momento necessario nel processo di liberazione di tutto il genere umano dallo sfruttamento e dal pregiudizio.

INTERNAZIONALE

La Russia è stata una delle fucine del pensiero rivoluzionario e anarchico, probabilmente anche perché la disumanità dello zarismo, il regime più autocratico e illiberale dell’epoca, non poteva non provocare una risposta quanto mai determinata e radicale. Ne è testimonianza, tra gli altri, il famoso affaire Nechaev, un drammatico caso di intransigenza organizzativa e violenza rivoluzionaria che coinvolse lo stesso Bakunin. Ne parla, con ricchezza di documentazione, il grande slavista Vittorio Strada nella riedizione della sua introduzione a uno scritto di Herzen del 1977, Umanesimo e terrorismo nel movimento rivoluzionario russo. Il “caso Nechaev”, Roma, Edizioni dell’Asino, 2012. Assertore di una fedeltà assoluta e totale all’organizzazione rivoluzionaria, Nechaev teorizzò la supremazia di questa su qualsiasi altra contingenza, arrivando a eliminare fisicamente alcuni dei suoi accoliti sospettati non tanto di tradimento ma semplicemente di debolezza nelle convinzioni e irresolutezza nell’azione. Ispiratore del romanzo I Demoni di Dostoevskij, Nechaev, per un certo tratto, riuscì a condizionare lo stesso Bakunin, teorizzando quella intransigenza “a fin di bene” – l’obiettivo travalica e annulla ogni forma di umanità – che può essere considerata l’antesignana del terrorismo politico. Anche se di sole 50 pagine, questo denso saggio, ricco di citazioni e riferimenti, rappresenta una lettura interessante per chi voglia indagare il nesso fra il fine rivoluzionario, con tutto il suo sforzo di emancipazione, e i mezzi spesso contraddittori con i quali si vorrebbe realizzare tale fine grandioso.
E la storia della Russia e della sua rivoluzione è lì a ricordarci quanto questa contraddizione abbia pesato drammaticamente nel processo di liberazione dell’umanità. Le speranze suscitate nel mondo intero dalla Rivoluzione del 1917 furono via via spente dagli strumenti repressivi e sempre più criminali che il bolscevismo utilizzò per sopprimere, in nome della salvaguardia della nuova società sovietica, ogni forma di opposizione interna. Esemplare la vicenda ucraina della quale fu protagonista Machno, della cui epopea scrive Alexander V. Shubin, accademico russo, oggi uno dei massimi esperti della storia delle opposizioni di sinistra al bolscevismo. Nel suo Nestor Machno: bandiera nera sull’Ucraina. Guerriglia libertaria e rivoluzione contadina (1917-1921), Milano, Elèuthera, 2012, traccia una nuova biografia del «generale contadino» ucraino, grazie all’apertura degli archivi segreti nei quali il PCUS aveva seppellito le scomode testimonianze dell’attività rivoluzionaria dei suoi oppositori. Ne viene fuori la grandiosa dimensione epica di quella rivolta contadina, libertaria e autogestita, che per anni rappresentò, pur fra luci e ombre, la concreta possibilità di un “altro” sviluppo rivoluzionario.
L’esperienza lottarmatista tedesca non fu certo paragonabile a quella italiana, ma di tutte quelle che presero vita negli anni Settanta del secolo scorso fu, per ampiezza e risonanza, la più simile a quella di casa nostra. Se la Raf, la Rote Armee Fraktion di ispirazione neomarxista, fu la formazione più famosa, il Movimento 2 Giugno ne rappresentò in un certo senso il contraltare, per la sua struttura non verticistica ma orizzontale e per il suo bagaglio ideologico più aperto agli insegnamenti della pratica che non della teoria. Questo suo spirito un po’ libertario e antiautoritario viene rievocato da alcuni ex militanti quali Ronald Fritzsch, Gerard Klöpper e altri, nel libro Il Movimento 2 giugno. Scritti e testimonianze, pubblicato nel 2009 a Guasila, dalle Editziones de su Arkiviu Bibrioteka “T. Serra”, una piccola antologia che rende conto della drammaticità di scelte che allora potevano sembrare inevitabili a molti, ma che oggi dichiarano tutta la loro tragica inconsistenza.
Sono venuti anche in Italia, più volte, a parlare della loro generosa attività, non violenta ma non per questo poco determinata, contro le divisioni, fisiche e ideali, che le élites politiche israeliane e palestinesi continuano a mantenere strumentalmente per ottenere il consenso della paura e del pregiudizio alle loro politiche. Si tratta degli Anarchici contro il muro, l’organizzazione orizzontale che più di ogni altra si batte «in opposizione con le prospettive personali ed il sistema politico, militare e civile, che all’interno di Israele sostiene l’occupazione». Nell’opuscolo Anarchists against the wall, Tsumud. Resistenza contro l’occupazione, Fano, Alternativa Libertaria, 2009, descrivono lo spirito e la sostanza dei loro interventi, animati dalla volontà di «dedicarsi, armati di corde da rocciatori, di tronchesi per il fil di ferro e di mazze pesanti, alla decostruzione del muro di Israele e ad esprimere il loro dissenso contro i blocchi stradali messi dall’esercito israeliano». Se in Palestina non si sta bene, nel non lontano Iran non si sta certamente meglio, anzi! Come si ricorderà alcuni anni fa anche in quel paese controllato rigidamente dagli Ajatollah ci fu un tentativo di rivolta, animato dal desiderio, soprattutto fra le fasce giovanili, di sottrarsi alla cappa di oscurantismo religioso e controllo poliziesco soffocante di ogni libertà. Ne parla in un breve opuscoletto Stefano Capello, La rivolta in Iran, Torino, Federazione anarchica torinese, 2009, spiegando sia gli “sporchi” affari che l’Italia, al di là delle belle parole di facciata pronunciate in nome della democrazia, continua a fare con questo grande produttore di petrolio, sia le numerose contraddizioni, in campo economico, politico e religioso, che fanno di questo paese un miscuglio di nazionalismo, fondamentalismo e messianesimo. Come si sa, la rivolta si è fermata, ma non possiamo che augurarci che possa riprendere fiato e ridare al popolo iraniano quella speranza che oggi sembra perduta.

CONTRO IL CARCERE, CONTRO I CIE

Una società senza galere è, da sempre, uno degli obiettivi di base del movimento anarchico. E la tematica anticarceraria è sempre stata presente nella propaganda e nella diffusione del pensiero libertario. Tanto più che non pochi degli esponenti del nostro movimento (anzi, in certi periodi storici, praticamente tutti) hanno dovuto affrontare l’esperienza della reclusione, comminata, spessissimo, senza nessun vero appiglio legale. Non è certo comunque il caso di Jacob, il famoso ladro-gentiluomo le cui gesta ispirarono Maurice Leblanc, il creatore del personaggio di Arsenio Lupin. Tra le altre cose Alexandre Marius Jacob ha lasciato alcuni scritti dal carcere oggi raccolti nel libretto Abbasso le prigioni, tutte le prigioni, Lecce, Bepress, 2009. Espressione di un rifiuto totale delle cosiddette regole sociali, questi scritti trovano interesse nell’illustrazione di un modo di pensare decisamente estraneo a ogni forma di perbenismo. Stesso argomento, ma di tutt’altro spessore, l’interessante antologia (in parte inedita in Italia) pubblicata da Zero in Condotta (Milano, 2009): AA. VV., Dietro le sbarre. Repliche anarchiche alle carceri ed al crimine, una raccolta di testi sul tema carcerario di anarchici di varie parti del mondo, accomunati dall’esperienza, più o meno lunga, fatta in qualche galera sparsa per il pianeta. Suddiviso in due sezioni, Idee e Memorie, il volume raccoglie le riflessioni, tra gli altri, di Emma Goldman, Nestor Machno, Mollie Steiner, Errico Malatesta, Albert Parsons e Oskar Neebe, tutte segnate dal comune rifiuto del carcere, sia come strumento repressivo sia come mezzo educativo. E anche sul concetto di crimine e sulle sue cause sociali, non si può non trovarvi che una perfetta comunanza di vedute.
In solidarietà con gli anarchici rinchiusi nelle carceri di vari paesi, dalla Svizzera alla Spagna, dalla Germania al Cile, è pubblicato l’opuscolo Faccia a faccia col nemico, Latina, Cassa Anarchica di Solidarietà Anticarceraria, 2010, che, riecheggiando il titolo di un famoso lavoro di Luigi Galleani, riporta «scritti e azioni in merito allo sciopero della fame dei prigionieri anarchici 2009-2010». Restando in argomento, ma passando ad altre emergenze, ecco l’opuscoletto autoprodotto Galere di oggi ingiustizia di sempre, Bologna, Edizioni Atemporali, 2009, un testo succinto nel quale si parla dei luoghi di prigionia eufemisticamente chiamati Centri di identificazione ed espulsione, quelle strutture disumane nelle quali sono rinchiusi individui che non solo non hanno commesso reati ma che sono giunti nel nostro paese per sfuggire alla fame, alla miseria, alle guerre. Gli anarchici sono molto impegnati su questo versante, come mostra anche l’opuscolo Sui Cie e sulla lotta per liberarsene. Riflessioni, percezioni e punti di vista, Roma, Assemblea Antiautoritaria, 2010, una panoramica a largo raggio su ciò che riguarda la lotta a queste istituzioni totali e sulla necessità di farla diventare quanto più possibile patrimonio comune dei fautori della libertà. Anche la Federazione Anarchica Torinese, da tempo impegnata nella lotta ad ogni forma di razzismo e di repressione, ha pubblicato Sicuri da morire. Per resistere al pacchetto sicurezza, Torino, 2009, un opuscolo ricco di informazioni e di amare considerazioni sulla realtà dei Cie, che contiene molti spunti utili a far diventare sempre più collettiva l’opposizione a una deriva che disonora il concetto di solidarietà.
La lotta contro il potere, si sa, ne provoca la reazione, e con essa la repressione: sempre più indiscriminata e refrattaria al rispetto delle sue stesse regole. Ne è ennesima testimonianza l’opuscolo degli Anarchici e Anarchiche di Bologna, Repressione, solidarietà, violenza, Bologna, Circolo Berneri, 2011, una lunga riflessione «sugli ultimi fatti polizieschi a danno dei movimenti». Basta leggerlo per farsi venire il sangue amaro, ma anche per confermarsi nella volontà di contrapporre alla violenza delle istituzioni una lotta che sia capace di contrastarla: collettiva, socializzata e orientata alla condivisione in tutti i segmenti della società civile.

MOVIMENTO CONTEMPORANEO

Sono molteplici le forme nelle quali si esprime, oggi, il movimento anarchico, sia nell’azione quotidiana, sia nell’analisi della società e dei suoi mutamenti. Un tratto costante, storicamente sedimentato, è l’opposizione al militarismo e a tutte le guerre, soprattutto quelle che oggi, con orwelliano eufemismo, vengono definite “interventi umanitari”. Non a caso si intitola Chi fa la guerra non va lasciato in pace! l’opuscolo edito nel 2009 dalla Rete Antimilitarista Anarchica che, già nel titolo, si propone come una decisa dichiarazione di apertura delle ostilità contro i guerrafondai di tutti i colori. Scritto a più mani, raccoglie interventi prodotti nell’ambito della Coordinazione Anarchica, sia di carattere storico, sia di carattere analitico. Molto utile, in particolare, l’individuazione di alcuni obiettivi (basi Usa, F35, occupazioni militari) sui quali concentrare un’azione antimilitarista di massa. Sullo stesso tema, e più o meno con identica impostazione, i materiali di un recente convegno antimilitarista raccolti nel libro A chi sente il ticchettio. Materiali dal Convegno antimilitarista di Trento del 2009, Atene, Rompere le righe, 2009, dove sono scandagliati i problemi legati all’occupazione militare in alcuni territori, da Vicenza alla Sardegna, dalla Puglia alla Campania.
Un’altra attività largamente praticata dagli anarchici in questi ultimi anni è quella delle occupazioni autogestite per la creazione di centri sociali. Fra le più note e durature quella dello spazio milanese di via Conchetta, conosciuto anche come Cox 18, un bell’esempio di come sia possibile creare luoghi di aggregazione, di riflessione collettiva e di azione libertaria interagendo paritariamente con gli abitanti del quartiere. Ne parlano gli occupanti storici nel libro a firma di Cox 18, Archivio Primo Moroni, Calusca City Lights, Storia di un’autogestione. Testimonianza breve e sintetica, dal 1976 a metà degli anni ’90, dei collettivi che hanno gestito via Conchetta 18 a Milano, Milano, Colibrì, 2010, che ricostruisce, anche attraverso immagini e interviste, la lunga e gloriosa storia di questa ormai trentennale esperienza. Un’altra esperienza di occupazione autogestita, protagonista di iniziative e di lotte memorabili, è quella modenese di Libera. Una storia collettiva, che ha saputo trovare numerosi momenti di condivisione delle sue attività a livello nazionale, diventando uno straordinario punto di riferimento per gli ambienti libertari alternativi di Modena e delle località vicine. Una “pericolosa” spina nel fianco dell’amministrazione rossa, tanto da dare vita a un rapporto conflittuale senza mediazioni: troppo libera era Libera per non finire distrutta “militarmente” dalla polizia del potente Partito Democratico (democratico?) emiliano. Ne parlano, con ricchezza di immagini e di emozioni, i protagonisti, I Liberi e le libere, in un gran bel libro non a caso intitolato Libera. Una sconfitta vinta, Modena, Libera - Unidea, 2010.
Un posto importante ha sempre avuto, fra gli anarchici, l’impegno anticlericale, di cui, a lungo, i meeting anticlericali organizzati a Fano e in altre località hanno dato concreta dimostrazione. Per quattro anni vi ha portato il suo contributo uno spirito libero che ha sempre marciato al nostro fianco, Joyce Lussu, i cui interventi dal 1991 al 1995 sono stati raccolti nel libro Un’eretica del nostro tempo, Camerano, Gwynplaine, 2012. Curata da Luigi Balsamini, e con la prefazione di Mimmo Franzinelli, questa pubblicazione rende perfettamente lo spirito critico ma anche profondamente rispettoso dell’autrice, che accompagnava alla contestazione radicale di ogni forma di autoritarismo un afflato solidaristico davvero raro.
È senza dubbio un libro complesso quello di Alex Foti, Anarchy in the EU. Movimenti pink, black, green in Europa e grande recessione, Milano, Agenzia X, 2009, una vasta panoramica sui movimenti giovanili anarchici attualmente attivi in Europa. Pink, black e green si riferiscono alle aggregazioni femministe, ai gruppi di Black Bloc, ai movimenti ecologisti, tutti diversi nell’impostazione generale, ma tutti partecipi di un identico “programma” controculturale volto a sovvertire dalle fondamenta le regole sociali. In appendice una ricca antologia di testi appartenenti alle aree indagate, «un testo vivace arricchito di schemi illustrativi, manifesti e testimonianze delle proteste che hanno agitato l’Europa in questi anni». Un ottimo strumento per chi voglia informarsi uscendo dalle banalità o dalle falsità dei media. Proprio per approfondire il fenomeno di mutazione culturale, di cui sono protagonisti i movimenti appena citati, il collettivo A.sperimenti ha organizzato un affollato seminario avente per tema il concetto stesso di rivoluzione. Il dibattito che vi ha avuto luogo, molto interessante anche grazie alle riflessioni di alcuni “padri” dell’anarchismo contemporaneo, è ora riportato nell’opuscolo AA. VV., Rivoluzione?, Milano, A.sperimenti, 2011, che raccoglie gli interventi di Andrea Breda, Andrea Staid, Tomàs Ibañez, Antonio Senta ed Eduardo Colombo. Cinque ragionamenti su un unico tema, tutti con l’obiettivo di trasportare il pensiero dalla teoria alla pratica.

Andrea Papi, 'Partenza per la camera
oscura', in Quando ero la dada coi baffi

Per finire questa carrellata sulle attività dell’anarchismo contemporaneo, nell’ambito della pedagogia libertaria si inserisce a pieno titolo il bel libro di Andrea Papi, Quando ero “la dada coi baffi”. Educare e autoeducarsi, Ragusa, La Fiaccola, 2011, la storia della lunga attività dell’autore come educatore di asilo nido, rara eccezione in una professione praticata quasi esclusivamente da donne.
Come ci si può aspettare, conoscendo Andrea, questo libro non contiene solo la ricostruzione di una originale esperienza condotta con intelligente passione – anche se già questo basterebbe a rendere interessante la lettura – ma anche un’approfondita riflessione sulla sua “straordinarietà”, intesa nell’accezione etimologica del termine: straordinaria perché fuori dall’ordinario. Ed è proprio per questo che Papi ha voluto raccontarla, per trasmettere, comunicare, e quindi socializzare, un «patrimonio di idee, pensieri ed esperienze educative carichi di significati».
Uno fra i fenomeni emergenti nella nostra società, destinato ad avere sempre più rilevanza, è senza dubbio quello dello sfruttamento del lavoro dei migranti. Se in molti casi vengono riconosciuti a questi nuovi lavoratori gli stessi diritti di cui godono, in campo sindacale e normativo, i lavoratori autoctoni, altrettanto spesso però ci troviamo di fronte a vere e proprie forme di schiavismo. L’analisi dell’evoluzione multiculturale e multietnica della nostra società da un punto di vista libertario risponde quindi a un’urgenza quanto mai attuale. Se ne occupa, con bravura, Andrea Staid, redattore di Elèuthera e collaboratore di questa rivista, che nel suo Le nostre braccia. Meticciato e antropologia delle nuove schiavitù, Milano, Agenzia X, 2012, raccoglie le testimonianze «di muratori, badanti, manovali, contadini e attivisti politici».

ECOMUNICIPALISMO

L’armonia fra uomo e natura è da sempre al centro delle aspirazioni e, naturalmente, dei progetti degli anarchici. Una società liberata dalla logica del profitto, non più disposta a sacrificare il bene comune (un ambiente sano) per gli interessi economici (un ambiente devastato dalla speculazione) è un obiettivo altrettanto importante di quello più generale di una società senza potere e sfruttamento. Non a caso un grande ecologista anarchico, Murray Bookchin, ha creato la scuola dell’ecologia sociale, coniugando l’impegno per la difesa dell’ambiente alla visione utopica della società futura. La summa della sua riflessione multidisciplinare è oggi raccolta nel volume L’ecologia della libertà. Emergenza e dissoluzione della gerarchia, Milano, Elèuthera, 2010, «un grande classico del pensiero contemporaneo […] che postula, dopo lo storico emergere ed affermarsi nei millenni del principio gerarchico, la sua dissoluzione, proponendo un’appassionante versione sociale dell’ecologia che va ben al di là del banale ambientalismo conservativo e conservatore oggi prevalente». Più succinto, e con un fine divulgativo, l’opuscolo, sempre di Bookchin, La società organica, Bergamo, Underground [2009], mentre allo stesso autore è dedicato il lavoro di Ermanno Castanò, Ecologia e potere, Milano, Mimesis, 2011, un saggio che «si propone di ripercorrere in una lettura critica i testi di Bookchin, e di fornire un’archeologia dei concetti fondamentali dell’ecologia che sia utile al dibattito animalista, ambientalista o ecologista, che quotidianamente ne fa la propria attrezzatura pratica». Spaziando da Foucault ad Adorno, l’autore affronta tutti gli ambiti nei quali si misurano pensiero e pratica ambientalista, quelli progettati e prospettati da Bookchin.

Murray Bookchin

Strettamente inerenti alle tematiche ecologiste sono i processi di trasformazione della convivialità legati alle mutazioni dei tessuti urbani e degli ambiti sociali. Mutazioni che rendono sempre più alienante il convivere urbano impedendo quelle forme di socializzazione che potrebbero mettere in discussione l’esistente. Ne parla Miguel Amoros ne La città totalitaria, Torino, Nautilus, 2009, che evidenzia la necessità di un programma radicale capace di opporsi a questo sviluppo distorto per tornare a una città nella quale l’agorà, la piazza, sia il luogo assembleare di una nuova convivialità. Sempre a Miguel Amoros si deve un piccolo pamphlet, L’alta velocità marcia, Torino, Nautilus, 2012, nel quale l’autore affronta un argomento quanto mai attuale da una prospettiva più ampia di quella della semplice lotta a nuove e devastanti infrastrutture. Infatti la mobilitazione che da mesi scuote le valli piemontesi, e non solo, trova un senso, secondo l’autore, soprattutto se si affianca a un intervento più generale contro il modello di sviluppo che grande capitale e finanza internazionale vorrebbero imporre come “pensiero unico”. Tematiche apparentemente dissimili, ma ispirate da un medesimo sentire, sono quelle proposte in un testo “caposcuola” ormai diventato un classico. Parliamo di Hakim Bey, T.A.Z. Zone temporaneamente autonome, Milano, Shake, 2007, dove si prospettano aree di società temporaneamente liberate dal capitalismo globalista.
Contro i demenziali progetti nuclearisti fortunatamente stoppati, almeno da noi, dal recente referendum, si è mossa l’accesa campagna ambientalista alla quale gli anarchici hanno partecipato con forte impegno. Particolarmente indovinato appare un agile libretto uscito nel pieno della controinformazione, 100 e più buone ragioni contro il nucleare, edito a Pisa dalla Biblioteca Franco Serantini nel 2010. Introdotto per questa edizione da Giorgio Ferrari (quella originale è dei Grünen tedeschi) che ha contestualizzato il testo tedesco, il volume contiene 101 argomenti topici della questione nucleare, tutti commentati con un linguaggio comprensibile e con argomenti precisi ed essenziali: davvero un ottimo esempio di divulgazione. Sulla stessa lunghezza d’onda, sempre durante la campagna referendaria, sono usciti nel 2010 i tre opuscoli curati e stampati dal Gruppo imolese di studi antinucleari intitolati rispettivamente Il nucleare non è sicuro, Le scorie nucleari: un problema irrisolto e Il nucleare non risolve il problema energetico. Si tratta di strumenti particolarmente indovinati per la diffusione militante e al tempo stesso frutto di uno studio accurato e approfondito. Un piccolo dossier su un altro argomento che sta a cuore a tutti, la “libertà” dell’acqua, è quello curato dal Circolo Anarchico Berneri, Sete! Acqua & Anarchia, Bologna, 2010, prodotto per contrastare il «progetto governativo di (ulteriore) privatizzazione dell’acqua». Si tratta di una raccolta di articoli già pubblicati su «Umanità Nova», «Sicilia Libertaria» e «A Rivista anarchica».
Per finire, un bell’esempio di pratiche ambientaliste, vissute nella mitica Amsterdam degli anni Sessanta. Ne parla Luca Benvenga ne Il movimento Provo. Controcultura in bicicletta, Aprilia, Novalogos, 2012, che fa la storia di quello che fu un faro di libertà, di fantasia e di provocazione per la gioventù inquieta di allora. Nato come movimento controculturale autoemarginato rispetto alla società olandese, il movimento Provo, grazie alla sensibilità ambientalista e alla capacità di intercettare le esigenze di una generazione alla quale andavano strette le formalità, diventò una realtà concreta di trasformazione, in grado di instillare uno spirito libertario e per tanti aspetti anche anarchico che costituì per anni l’onda lunga di un cambiamento che ha lasciato tracce profonde non solo in Olanda ma nell’intera Europa.

BIOGRAFIE E AUTOBIOGRAFIE

Nel corso degli anni si sono fatti sempre più frequenti gli studi storici su fatti, avvenimenti e personaggi dell’anarchismo, a dimostrazione sia della rilevanza del pensiero e del movimento anarchico nella storia contemporanea (a lungo negata dalla convergenza “negazionista” delle due scuole, marxista e liberale), sia dell’intensa produzione di una nuova generazione di ottimi studiosi provenienti dal movimento anarchico. Questi studi non si limitano a inquadrare e descrivere la presenza dell’anarchismo nella storia del paese, ma contribuiscono anche alla riscoperta di alcuni dei personaggi che più hanno rappresentato le nostre istanze e meglio hanno interagito con il corpo sociale e con le altre forze della sinistra. Ecco, quindi, una lunga serie di biografie che permettono di apprezzare tanto la grandezza morale di queste figure, quanto l’importanza che il loro lavoro militante ha avuto per lo sviluppo e l’emancipazione delle classi subalterne, mettendone in risalto l’azione là dove maggiormente si è esercitata, in campo sindacale, cooperativo, organizzativo, culturale, intellettuale.

Celso Ceretti

Cominciamo questo lungo elenco partendo da lontano, cioè dalle origini risorgimentali del movimento internazionalista. Franco Verri nel libro dedicato a Celso Ceretti garibaldino mirandolese, Verona, Fiorini, 2007, pur parlando di un singolo personaggio, viene a tracciare il percorso collettivo che coinvolse buona parte della generazione garibaldina, ossia il passaggio da un primitivo anelito di giustizia e di libertà all’adesione a un progetto sociale organizzato e strutturato.
Insomma, dal garibaldinismo all’internazionalismo. Esemplare, da questo punto di vista, appare proprio la figura di Ceretti, che fece convivere entrambe queste anime nella sua esperienza di vita.
In questa rassegna intendo comprendere Andrea Costa. Infatti, anche se la sua attività si è svolta in gran parte nell’ambito del socialismo parlamentare, la sua appartenenza al movimento anarchico, per quanto breve, è stata di grande importanza. Nel 2011 si sono svolte a Imola le manifestazioni in occasione del centenario della morte di Andrea Costa e sono uscite alcune pubblicazioni a lui dedicate. Una è il repertorio curato da Paola Mita, Carte e libri di Andrea Costa, Imola, Biblioteca Comunale, 2011 nel quale, oltre ad alcuni saggi, è descritta la cospicua corrispondenza – conservata nel Fondo Costa della Biblioteca imolese – intrattenuta da Costa nel corso della sua lunga attività rivoluzionaria, riformista e parlamentare. Sono inoltre elencate le numerose monografie lasciate alla stessa biblioteca. Consultando questo lavoro esemplare, risulta impressionante la consistenza della rete di relazioni intessuta da Costa, non solo sul piano quantitativo ma anche, e soprattutto, sul piano della “qualità” dei corrispondenti: non manca nessuno dei personaggi più importanti del socialismo e dell’anarchismo italiano e internazionale dell’epoca. Sempre su Costa, di Marco Pelliconi, Andrea Costa e il Mezzogiorno. Le carte del Sud presenti nel Fondo Costa della Biblioteca Comunale di Imola, Imola, Bacchilega, 2010, un saggio nel quale, attraverso lo spoglio delle carte, sono esaminate le differenti relazioni intrattenute a vario titolo da Costa con le terre meridionali. Naturalmente non poteva mancare un intero capitolo dedicato all’impresa internazionalista del Matese.

Andrea Costa

Di Pietro Gori si è scritto molto e non sono pochi i volumi che se ne sono occupati. Tiziano Arrigoni ne ha scritto in modo del tutto particolare. Infatti, nei suoi due libri, Viaggi ed avventure di Pietro Gori anarchico, Rosignano Marittimo, Bancarella, 2010 e Nella terra dei lobos. In Patagonia con Pietro Gori e Angelo Tommasi, Piombino, La Botticella, 2012 l’autore si occupa di alcuni dei tanti viaggi di Gori, in particolare quello effettuato nella Terra del Fuoco in compagnia del pittore conterraneo Angelo Tommasi. Arrigoni non si limita a seguire gli spostamenti dei due, ma descrive anche, in modo curioso e interessante, la società argentina del periodo, con le sue grandezze e contraddizioni. Un altro breve studio dedicato a Gori è di Antonio Bellandi, Carlo Della Giacoma e Pietro Gori. Musica e politica nella Livorno di fine Ottocento, Livorno, Quaderni della Labronica, 2005, lavoro originale su una delle facce meno studiate del poeta anarchico, quella di librettista d’opera. Gori infatti non scrisse solo il famoso Calendimaggio, ma anche Elba, un testo operistico inedito e musicato dal compositore veronese Della Giacoma, bella figura di spirito libertario. Anche se centrato soprattutto sull’aspetto più propriamente musicale, il testo non manca di offrire spunti inconsueti della vita e delle aspirazioni letterarie di Gori.

Pietro Gori (al centro) con alla sua destra Carlo Meloni

Ha dato tanto all’organizzazione operaia, nell’Usi nella prima metà del secolo e successivamente nella Cgil Gaetano Gervasio, un militante di base capace di dare robusta concretezza sociale e politica al proprio essere anarchico e operaio. Non a caso la sua autobiografia, amorevolmente curata dalla figlia Giovanna, si intitola Un operaio semplice. Storia di un sindacalista rivoluzionario anarchico (Milano, Zero in Condotta, 2011), titolo scelto con molta modestia, perché la sua esistenza, tribolata ma anche esaltante, non è certo stata “semplice”, avendo attraversato con ruolo da protagonista tutte le situazioni calde del secolo, dalla Settimana rossa alla occupazione delle fabbriche, dalla lotta al fascismo alla resistenza antinazista, dalla ripresa del movimento dopo il fascismo alla partecipazione alla stagione sindacale del secondo dopoguerra. Affiancando sempre all’attività in campo proletario quella specifica organizzativa, e infatti, non a caso, lo troviamo ai congressi di fondazione tanto della Unione Anarchica Italiana nel 1919 quanto della Federazione Anarchica Italiana nel 1945.
Più o meno coetaneo di Gervasio è Maurizio Garino, l’operaio torinese di cui hanno curato le memorie Guido Barroero e Tobia Imperato nel libro Il sogno nelle mani. Torino 1909-1922. Passioni e lotte rivoluzionarie nei ricordi di Maurizio Garino, Milano, Zero in Condotta, 2011. Anche in questo caso troviamo il resoconto di una vita vissuta con intensa tensione militante, che ha attraversato i momenti più drammatici ma anche più importanti del radicale scontro di classe dei primi decenni del ’900. Sviluppato su una vivace e coinvolgente intervista a Garino realizzata nel 1975 da Marco Revelli, il racconto del protagonista ci porta, con una immediatezza accompagnata da notevole lucidità storica e teorica, nel vivo delle lotte rivoluzionarie di cui l’operaio torinese fu grande interprete.

Gaetano Gervasio a un convegno della CGIL

Un altro bellissimo racconto autobiografico è quello raccolto, alcuni decenni or sono, da Claudio Venza e Clara Germani dalla voce di Umberto Tommasini, pubblicato dapprima nel vivace dialetto triestino e oggi riproposto in lingua. Si tratta di Umberto Tommasini, Il fabbro anarchico. Autobiografia fra Trieste e Barcellona, Roma, Odradek, 2011.
Divenuto già alla prima uscita una sorta di libro di culto, il testo continua ad affascinare per l’originalità della presentazione e per la freschezza con la quale il protagonista racconta le sue esperienze e quelle di tanti anarchici come lui, alle prese con gli avvenimenti più importanti del ’900. Militante di base, organizzatore instancabile, strenuo oppositore del fascismo e combattente, tra avventurose traversie, in terra di Spagna, Tommasini contribuì nel secondo dopoguerra a ricompattare l’ambiente anarchico triestino, consentendo quella continuità oggi premiata dalla solida presenza del movimento in città. Già questo basterebbe a farne apprezzare l’opera, ma leggendo la bellissima autobiografia dell’anarchico triestino ci accorgiamo che sono tanti i debiti contratti con lui e con tanti altri compagni, sparsi qua e là, di cui la sua storia è testimonianza.
Toni Senta è uno di quei bravi studiosi della nuova generazione a cui accennavo. Dopo un lungo lavoro di riordino e catalogazione compiuto nell’imponente Fondo Fedeli custodito all’Iisg di Amsterdam, Antonio Senta ha pubblicato la prima biografia, A testa alta! Ugo Fedeli e l’anarchismo internazionale 1911-1933, Milano, Zero in Condotta, 2012, leggendo la quale si acquista la piena percezione dell’importanza che ha avuto, per il movimento anarchico organizzato, la particolare figura di Ugo Fedeli. Anche se il periodo considerato è relativamente ridotto rispetto alla lunga presenza di Fedeli nel movimento, il libro restituisce comunque la ricchezza di contenuti e contatti internazionali di un personaggio al quale è intitolato, non a caso, un fondo documentario di straordinaria entità. Sempre di Antonio Senta un breve saggio dedicato a Luigi Galleani e l’anarchismo antiorganizzatore, Imola, Bruno Alpini, 2012. Già apparso su «A Rivista anarchica», questo lavoro, in edizione bilingue, è utile in quanto la figura di Galleani, così importante nel movimento anarchico di lingua italiana per gran parte del ‘900, non aveva incontrato, recentemente, l’interesse che meritava da parte degli storici. Al punto che di lui manca ancora una biografia completa, in grado di restituirne la notevole influenza e di spiegare il grande peso che ebbero gli antiorganizzatori soprattutto nel Nord America. Potrebbe essere un suggerimento a Senta per una nuova fatica.

La famiglia Cieri (archivio
privato Domenico Cieri, Messico)

Di Antonio Cieri si è ricominciato a parlare solo in questi ultimi anni. E finalmente! Anarchico abruzzese, ferroviere, trasferito per punizione a Parma, è fra gli animatori, con Guido Picelli, della straordinaria resistenza che il popolo parmigiano di Oltretorrente oppose alle squadracce di Italo Balbo, intenzionate a conquistare militarmente la città emiliana. Costretto a lasciare l’Italia con l’avvento del fascismo, nel 1936 parte dall’esilio francese per andare a combattere in Spagna contro l’esercito franchista. E qui, nel 1937, perde la vita combattendo contro i fascisti spagnoli. Alcuni anni fa a Parma venne apposta una lapide in memoria. Oggi della sua vita esemplare scrive Giorgia Sisti ne Lo Stranier. Vita anarchica di Antonio Cieri, Parma, Fedelo’s Editrice, 2012, consegnandoci un omaggio sentito e commosso.

Nello Garavini

Un altro bel volume è quello che raccoglie l’autobiografia di Nello Garavini, Testimonianze. Anarchismo e antifascismo vissuti e visti da un angolo della Romagna, Imola, La Mandragora, 2010. Il sottotitolo è parzialmente “menzognero”, perché in realtà la vita di Nello non è trascorsa solo nei limiti della natia Castelbolognese, ma ha visto molti dei suoi momenti più importanti altrove, là dove lo portò il netto rifiuto di convivere con il fascismo. Prima nel nord Italia e poi a San Paolo del Brasile, dove continuò per decenni l’attività antifascista. Pubblicata dopo lunga gestazione, grazie al lavoro di editing di Gianpiero Landi, questa autobiografia è esemplare perché, appartenendo a un personaggio apparentemente di seconda fila (sempre che fra gli anarchici esistano le prime file), fa capire l’assonanza e le affinità che uniscono le vite di tanti anarchici, differenti per le circostanze ma uguali nel pensiero, nell’azione e nell’amore per l’ideale. Un’altra narrazione autobiografica è quella dell’«anarchico di Calabria» Bruno Misefari (Furio Sbarnemi) che raccolse le proprie considerazioni nel Diario di un disertore. Un anarchico contro la guerra, oggi pubblicato da Gwinplaine, Camerano, 2010. La sua fu un’esperienza comune ai molti anarchici che si rifiutarono di partecipare al grande macello della guerra e scelsero di sottrarsi, nonostante i rischi che comportava la diserzione, alla disumanità che attraversò l’Europa fra il 1914 e il 1918. Per questo si possono leggere queste memorie come il libro collettivo di un intero movimento.

Bruno Misefari

Fu un’esistenza particolarmente intensa, ma purtroppo conclusasi nel modo più drammatico, quella ricostruita da Giuseppe Galzerano in Enrico Zambonini. Vita e lotte, esilio e morte dell’anarchico emiliano fucilato dalla Rsi, Casalvelino, Galzerano, 2009. Particolarmente accurato, questo studio ripercorre gli anni dell’esilio in Francia e Belgio, dove Zambonini andò per sottrarsi alle continue persecuzioni e violenze fasciste, e quelli della partecipazione alla rivoluzione spagnola, soffermandosi, in particolare, sull’importante ruolo avuto dall’anarchico nel creare una scuola per l’infanzia, in piena guerra civile. Una iniziativa quanto mai indicativa dell’importanza che gli anarchici, anche in pieno periodo rivoluzionario, davano all’educazione libertaria, intesa come momento di emancipazione. Zambonini, dopo essere stato rimpatriato e confinato a Ventotene, sarà fucilato nel 1944 sull’Appennino reggiano da un plotone di esecuzione repubblichino, al termine di un processo tragicamente farsesco.

Enrico Zambonini

L’attentato del 1921 al teatro milanese Diana ha segnato una sorta di spartiacque all’interno dell’anarchismo italiano. Tragico nelle conseguenze – 21 morti uccisi dallo scoppio –, devastante per gli esecutori – ergastoli e infiniti anni di galera –, drammatico per il movimento – costretto a difendersi dalla reazione generale –, l’attentato fu rimeditato e ampiamente vagliato da uno degli esecutori materiali, Giuseppe Mariani, che scontò decenni di durissimo carcere. Liberato nel dopoguerra anche grazie all’intervento di Sandro Pertini, Mariani consegnò le sue memorie e i suoi ripensamenti a un bel libro, Memorie di un ex terrorista. Dall’attentato al “Diana” all’ergastolo di Santo Stefano, ripubblicato nel 2009 per le edizioni di Genova, L’ultima spiaggia e arricchito da una interessante appendice documentaria sia sull’attentato sia sul penitenziario di Santo Stefano.
Un anarchico apparentemente “minore” ma del quale, leggendone la biografia, si può apprezzare l’importante ruolo avuto nello sviluppo del movimento a Napoli, è sicuramente quello cui dedica una attenta biografia Fabrizio Giulietti, Umberto Vanguardia. Azione e propaganda di un anarchico napoletano (1879-1931), Casalvelino, Galzerano, 2009. Anche in questo caso, si tratta di un’esistenza intensa e avventurosa, segnata dall’entusiasmo militante e dalla dura repressione statale e fascista, un’esistenza simile a tante altre, tutte accomunate dalla medesima intensità nell’adesione ai propri principi. Militante sindacale, instancabile organizzatore, propagandista e pubblicista (molti i suoi scritti riprodotti nel libro), conobbe anch’egli carcere e confino, ma la sua sete di libertà, propugnata per sé e per gli altri, non venne mai meno. Non è uno solo, ma sono tre i protagonisti di una storia sostanzialmente sconosciuta e oggi riportata alla luce da Giuseppe Alibrandi, ne Il libertario dei Nebrodi, Marina di Patti, Pungitopo, 2010. Antonino Puglisi, Francesco Martino e Leo Giancola furono gli animatori di un gruppo anarchico siciliano attivo nel primo dopoguerra e, nonostante le difficoltà di un ambiente non favorevole, si impegnarono con tutte le forze per l’affermazione del gruppo. I loro destini furono differenti perché Giancola emigrò in America dove entrò a far parte della redazione della «Adunata dei Refrattari» mentre Puglisi, rimasto al paese, subì ogni sorta di persecuzione da parte fascista. Sono molti altri, poi, i personaggi riportai alla luce, in un quadro composito come fu composito l’anarchismo siciliano.

Francesco Barbieri

Viene sempre dal sud, e più precisamente dalla Calabria, la biografia di un’altra figura non fra le più conosciute ma sicuramente di notevole rilevanza. Ne scrivono Giuseppe Candido, Filippo Curtosi e Francesco Santopolo, nel volume Francesco Barbieri l’anarchico di Briatico. Una vita rivoluzionaria, Calabria, Non mollare edizioni, 2011. Una vita avventurosa quella di Barbieri, trascorsa dapprima nella nativa Calabria, poi nell’Argentina degli anarchici espropriatori e conclusasi tragicamente, nel 1937, nella Barcellona rivoluzionaria. Barbieri, infatti, era stato scelto, per la sua determinazione di uomo d’azione, come una sorta di guardia del corpo di Camillo Berneri, e proprio con Berneri troverà la morte, assassinato da infami sicari stalinisti, nelle drammatiche giornate controrivoluzionarie del maggio barcellonese. Un sincero omaggio dei tre autori calabresi a un uomo che meritava finalmente una accurata biografia.
Restando in Calabria, ma partendo dalla Toscana, troviamo le pagine nelle quali Angelo Pagliaro ricostruisce le avventurose peripezie di un’intera famiglia. Si tratta de La famiglia Scarselli. Volti, idee, storie e documenti di una famiglia anarchica temuta da tre dittature, Cosenza, Coessenza, 2012. Inizialmente siamo in Toscana, e per l’esattezza nella patria di Boccaccio, Certaldo, dove i numerosi componenti di questa famiglia organizzarono una risoluta resistenza contro il fascismo. Datisi poi alla macchia, i giovani Scarselli diedero vita alla banda dello Zoppino (tale era il soprannome del capofamiglia Scarselli) che costituì una spina nel fianco del nascente regime; solo con la dispersione in Brasile e in Russia dei componenti della banda, il regime poté tirare un sospiro di sollievo. Dall’incontro con gli ultimi componenti di questo bel nucleo famigliare, Germinal e Spartaco Bottino, figli di Giacomo e Ida Scarselli, entrambi nati in Brasile ma oggi residenti in Calabria, l’autore riporta ricordi altrimenti destinati ad andare persi, insieme con gli ideali che animarono quella piccola schiera di irriducibili libertari.

Emilio Scarselli

Di ben diverso tenore la vita di un altro anarchico non troppo conosciuto. Ne traccia una succinta biografia Oliviero La Stella nel volume Francesco Ippoliti. Un anarchico abruzzese agli inizi del Novecento, Pescara, Ianieri, 2006. Straordinaria figura di asceta laico, Francesco Ippoliti fu il preziosissimo «medico dei poveri» dei contadini abruzzesi, animato in tale missione dalla profonda adesione all’anarchismo. Attivo all’interno del movimento con la collaborazione a numerose testate, fu duramente perseguitato dai fascisti, che non potevano tollerare l’amore che lo circondava fra la sua gente, e che infatti cercarono di colpirlo proprio dove sapevano che più gli avrebbero fatto male, boicottandone metodicamente la missione umanitaria. Una ulteriore dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, della delinquenza morale del regime.
La sua vita trascorse, in gran parte, e molto criticamente, nei ranghi del partito comunista, ma la sua giovanile e forte adesione all’anarchismo ne giustifica l’inserimento in questa bibliografia. Si tratta di Emilio Colombo, militante di base milanese, di cui scrive Cesare Bermani in “Filopanti”. Anarchico, ferroviere, comunista, partigiano, Roma, Odradek, 2010. Ricco di citazioni, di estratti da articoli, di testimonianze, il ritratto di Colombo esce a tutto tondo come quello di un vero militante della base operaia, capace di esercitare il proprio “libero arbitrio” anche contro le direttive del partito. Di tutt’altro tipo di “anarchico” parla il libro di Pino Corrias, Vita agra di un anarchico. Luciano Bianciardi a Milano, Milano, Baldini Castoldi, 2009. Bianciardi non fu anarchico nel senso stretto della parola, non militò nel movimento libertario ma fu, anzi, vicino, in varie fasi, al partito comunista. Eppure il suo modo di affrontare l’esistenza, criticamente libero e irriverente, e di partecipare alla vita sociale del Paese ne fanno, a buon diritto, un vero libertario. Proprio per l’incapacità di accettare compromessi con i meccanismi del potere, la sua fu una «vita agra», in sintonia con il suo libro più famoso, l’autobiografia intitolata, appunto, La vita agra. E Corrias, con affetto e partecipazione, la ricostruisce cercando testimonianze e ricordi fra quanti lo hanno conosciuto e gli hanno voluto bene.
Le neonate edizioni del Centro Documentazione Franco Salomone di Fano hanno dedicato la loro prima pubblicazione nel 2011 a Un rivoluzionario di ponente. Franco Salomone: le lotte di ieri, l’alternativa di domani, curata da Roberto Meneghini e Donato Romito. «Savonese di nascita ma internazionalista militante, attivista sindacale e comunista libertario, Franco Salomone (1948-2008) ha dedicato la sua vita alla lotta di classe, alle lotte sociali, all’organizzazione rivoluzionaria per l’anarchia e il comunismo», e qui sono raccolti alcuni documenti che ne testimoniano il pensiero e l’impegno. Ha scelto invece altre strade, decisamente differenti, per “praticare” l’anarchismo, Claudio Lavazza, che ripercorre le sue traversie nel racconto Pestifera la mia vita, Cuneo, Biblioteca popolare Rebeldies, 2011. Oggi Lavazza sta scontando lunghi anni di carcere in Spagna, dove portò il proprio agire “illegalista e insurrezionalista” quando dovette fuggire dall’Italia per sottrarsi all’arresto, e leggendo queste pagine appare chiaro come, nel suo caso, non si possa proprio parlare di pentitismo.
Buono, affabile e disponibile, Goliardo Fiaschi lo abbiamo conosciuto quasi tutti, e quasi tutti abbiamo frequentato la sua libreria-circolo culturale situata nel cuore di Carrara. Giovanissimo partigiano, l’anarchico Goliardo (anarchico anche nell’indeterminatezza del nome: Goliardo o Gogliardo?) entrò in contatto, nei primi anni del dopoguerra, con gli anarchici spagnoli che ancora cercavano di abbattere il regime franchista con la lotta clandestina. Arrestato in Spagna durante un’azione, dovette affrontare per lunghi, troppi anni, una dolorosa carcerazione, che lo portò a conoscere le prigioni di mezza Spagna e mezza Italia. Quando finalmente ritrovò la libertà, riprese il proprio posto nel movimento dedicandosi con rinnovato entusiasmo alle attività degli anarchici carraresi. Di questa generosa esistenza scrive oggi Gino Vatteroni in Fóc al fóc. Goliardo Fiaschi: una vita per l’anarchia, Carrara, Circolo Culturale Gogliardo Fiaschi, 2012. Un sentito e documentato omaggio che non possiamo non apprezzare.
Fino ad ora ci siamo occupati di anarchici italiani, ma vanno segnalati anche alcuni testi che ci portano in altri paesi. Cominciamo con la ristampa di un libro tanto famoso quanto fino a ieri introvabile, e che ebbe, a suo tempo, grande fortuna fra un pubblico di lettori appassionati e… solidali. Si tratta delle memorie autobiografiche di Clement Duval, Il fuggiasco della Guyana, Milano, Kaos, 2012, il leggendario anarchico illegalista francese che trascorse lunghi anni nei bestiali bagni penali nei quali la democratica Francia mandava a rinsavire i suoi figli “irregolari”. Sono memorie estremamente avvincenti pure se in effetti non sarebbero tutte farina del sacco di Duval – anche se sue sono le vicende narrate – ma piuttosto del sacco di ben altro personaggio, quel Galleani, grande scrittore, di cui abbiamo parlato poco sopra. Infatti l’edizione francese originale riempie appena una settantina di pagine, mentre quella riproposta oggi, e uscita in prima edizione per la «Adunata dei Refrattari» negli anni Trenta, ne contiene oltre cinquecento. Comunque sia, il libro è di grande interesse, anche se spesso ci si deve fermare per digerire tutte le infamie che vi sono descritte. Molto avvincente anche il lavoro di Jean-Marc Delpech, che ha licenziato alle stampe la biografia di un personaggio più volte incontrato in queste pagine: Rubare per l’anarchia. Alexandre Marinus Jacob, ovvero la singolare guerra di classe di un sovversivo della belle époque, Milano, Elèuthera, 2012. Una biografia completa, questa, arricchita da una precisa cronologia e, soprattutto, dalla riproduzione del Perché ho rubato?, l’avvincente dichiarazione con la quale Jacob “spiegò” ai giudici che l’avrebbero condannato le mille ragioni che lo avevano spinto sulla strada del «lavoro di notte». Di contenuto meno drammatico, la biografia che Bernard Thomas dedica a Lucio Urtubia. L’anarchico irriducibile, Lecce, Bepress, 2012. Su questo anarchico spagnolo vivente in Francia è uscito recentemente anche un film, e in effetti la sua storia merita attenzione. Infatti questo militante anti franchista di origini proletarie si rifugia in Francia per sottrarsi al servizio militare e da allora la sua vita diventa quella di «un Robin Hood moderno, contrabbandiere, disertore, militante anarchico, rapinatore, falsificatore di documenti e di soldi». Il suo capolavoro, che lo ha reso famoso, fu quello di truffare tre miliardi di pesetas alla First National City Bank, ma nonostante il colpaccio, continua a vivere tuttora a Parigi della sua pensione di muratore. Come si può immaginare, la lettura di questo libro è altrettanto appassionante quanto lo è stata chiaramente la sua vita.

BIOGRAFIE COLLETTIVE

Sono molte le biografie raccolte nel volume Le figure storiche dell’Unione Sindacale Italiana, Ancona, USI-AIT, 2012. In questo libro, edito dall’Usi nel centenario della sua fondazione, si cimentano nove studiosi per undici biografie di militanti sindacali che nel corso degli anni hanno partecipato all’intensa vita di questo sindacato rivoluzionario, all’interno del quale gli anarchici hanno avuto, e hanno tuttora, parte preminente. Accanto alle figure di Alceste De Ambris, Filippo Corridoni, Alibrando Giovannetti, diretta espressione del sindacalismo rivoluzionario (non tutti faranno una fine coerente), troviamo alcuni degli esponenti anarchici più significativi dell’Usi, quali Armando Borghi, Clodoveo Bonazzi, Virgilia D’Andrea, Alberto Meschi, Pietro Comastri, Libero Dall’Olio, Camillo Berneri e Umberto Marzocchi. Un bel ritratto di famiglia – nel quale troviamo alcune foto inedite – che mostra la continuità e la consistenza della presenza anarchica organizzata in campo sindacale.
Ancora una volta Pino Cacucci si dedica, con la usuale bravura, a narrare vite difficili, tormentate, spesso tragiche, ma sempre degne di essere vissute. Lo scrittore torna in libreria con Nessuno può portarti un fiore, Milano, Feltrinelli, 2012, una piccola antologia di sette esistenze libertarie, uomini e donne, in Italia, in Europa, nelle lontane Americhe, che nella diversità di situazioni, ideali e pensiero hanno avuto il tratto comune di interpretare i drammi del secolo passato. Alcuni, forse, solo perché travolti dagli avvenimenti, ma non certo nel caso della giovanissima partigiana felsinea Edera De Giovanni, uccisa dai fascisti per il suo coraggio – le hanno reso recentemente omaggio gli anarchici bolognesi – né di Sante Pollastro, che scontò lunghi anni di galera per la sua irriducibile passione illegalista, e nemmeno di Duval (parliamo di lui anche altrove in questa bibliografia) o di Horst Fantazzini, il «rapinatore gentile» morto assurdamente durante la sua ultima impresa. Con partecipazione torna ad occuparsi degli anarchici il giornalista reggiano Fabrizio Montanari che nel libro Inseguendo il vento della libertà, Reggio Emilia, L’Autore, 2008, narra la «storia verosimile di tre amici nella tempesta del primo Novecento, tra amori, esilio, guerre e lotte politiche». I tre sono i reggiani Torquato Gobbi, Camillo Berneri e Pietro Montasini, e il racconto si svolge sulla traccia della autobiografia che Gobbi, prima di suicidarsi a Montevideo, volle lasciare alla nipote. Torquato narra le sue avventurose vicende e quelle di Camillo, ucciso dagli stalinisti a Barcellona, e di Pietro, ucciso l’anno successivo a Mosca da mani guidate dalla logica criminale del “comunismo in un paese solo”, quella per cui chi non era d’accordo era un nemico da eliminare. Un libro che fa riflettere sulle aberrazioni che nel Novecento rovinarono i sogni di mondi migliori.
Ancora tre biografie, tracciate da Marco Cicala in Tre anarchici: il poeta, il rivoluzionario, il falsario, Udine, Forum, 2011, dove il poeta è l’uomo di teatro, partigiano e deportato Armando Gatti, il rivoluzionario Abel Paz – che non ha bisogno di presentazioni – il falsario, manco a dirlo, Lucio Urtubia, in questi ultimi tempi sempre più agli onori delle cronache. Indubbiamente tre diverse rappresentazioni dell’anarchismo, tre interpretazioni dei rispettivi ruoli svolti all’inseguimento della libertà, ma tutte, come raccontano le loro storie, dotate della stessa intensità.
Storie collettive, che questa volta si intrecciano fortemente con le vicende di un’intera cittadina, sono quelle vissute in una delle più belle località della Toscana, e quindi d’Italia. Duccio Benvenuti offre uno squarcio su una presenza anarchica quasi ininterrotta nel libro Cravatte nere. Storie degli anarchici di Volterra, Volterra, Distillerie, 2009. In gran parte si tratta di artigiani alabastrai che contribuirono a fare di Volterra una città refrattaria alle sirene del potere e all’adesione al fascismo. Sono storie semplici, senza particolari eroismi se non quelli di chi ogni giorno afferma la propria dignità di uomo libero in faccia al potere, alla repressione, all’emarginazione; quindi storie parallele a quelle degli altri anarchici che nel corso degli anni hanno attestato e propagandato il proprio ideale, sempre e dovunque. Restiamo in Toscana, a Carrara, la “patria” – sempre che gli anarchici abbiano una patria – dell’anarchismo. Ne parla Marco Rovelli ne Il contro in testa. Gente di marmo e d’anarchia, Bari, Laterza, 2012, che affronta sul filo della memoria la storia di Carrara e dei suoi irriducibili e duri abitanti. Ne esce uno spaccato avvincente e fortemente sentito, che attraversa cave e cantine e si pasce del sole accecante delle Apuane e del generoso vino locale bevuto, come si deve, con malinconica allegria. Sono tante le persone che si incontrano, alcune note, molte sconosciute, ma tutte raccontate con l’affetto di chi sa di dovere molto a questa città. Ma anche con l’amarezza nel constatare come il suo spirito ribelle fatichi sempre più a ritrovarsi e quanti danni abbiano fatto la speculazione edilizia e l’inquinamento ambientale.
Un tassello mancante alla storia dell’anarchismo italiano è stato riempito da Pasquale Grella che, nel suo ponderoso lavoro Appunti per la storia del movimento anarchico romano dalle origini al 1946, Roma, L’autore, 2012, ricostruisce l’intensa attività militante, particolarmente in campo sindacale e antifascista, degli anarchici della capitale. Soprattutto interprete dell’anarchismo organizzatore e federalista, l’anarchismo romano ha espresso numerose figure di caratura nazionale, che non raramente hanno condizionato l’attività e le scelte del movimento nazionale. Sono più di un centinaio le biografie di questi compagni riportate in appendice, risultato di un lavoro prezioso di scavo negli archivi pubblici e nelle pubblicazioni dell’epoca.

Cena a casa Borghi, a Roma.
Da sinistra: Armando Borghi, Pia Zanolli Misefari,
Mario Mantovani, Catina Ciullo, Umberto Marzocchi

Il Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani ha rappresentato un notevole stimolo alla ricerca storiografica, facendo emergere in particolare le biografie dei personaggi cosiddetti minori. Così, dopo l’uscita di uno studio preliminare sull’anarchismo a Modena di alcuni anni fa, si deve ora ad Andrea Pirondini l’approfondimento definitivo, Anarchici a Modena. Dizionario biografico, Milano, Zero in Condotta, 2012, un lavoro particolarmente prezioso per il ricco apparato storiografico che accompagna le numerose biografie dei militanti anarchici della città emiliana. Altre località si sono progressivamente aggiunte a quelle che possono presentare una ricognizione pressoché completa dei propri militanti. Si tratta della Calabria, dell’Abruzzo e del Bergamasco. In Abruzzo Edoardo Puglielli ha dedicato due volumi al movimento della regione. Il primo, frutto di notevole fatica e capacità di ricerca, è il Dizionario degli anarchici abruzzesi, Chieti, Centro Studi Libertari Di Sciullo, 2010, una raccolta di ben 150 biografie, a dimostrazione che anche una regione apparentemente periferica come presenza e rilevanza del movimento anarchico ha fatto emergere tante figure di militanti, anche di caratura nazionale. Basti citare Carlo Tresca, Virgilia D’Andrea, Camillo Di Sciullo, Nino Postiglione, Severino Di Giovanni, Antonio Cieri. Per approfondire la conoscenza dell’anarchismo abruzzese, sempre di Edoardo Puglielli, Il Movimento Anarchico Abruzzese 1907-1957, L’Aquila, Textus, 2010, un’approfondita ricerca che, partendo dai primi anni del Novecento e dalla partecipazione del movimento locale ai moti della Settimana Rossa e del Biennio Rosso, arriva fino alla ripresa dopo la caduta del fascismo e alla ricostruzione di un movimento che non aveva mai smesso di partecipare alla vita sociale della regione. Ben vengano studi come questi, capaci di integrare notizie e dati apparentemente localisitici con quelli della storia nazionale. Rendendo la conoscenza di quest’ultima ancora più piena e comprensibile.
Sullo stesso registro il lavoro di Katia Massara e Oscar Greco, Rivoluzionari e migranti. Dizionario biografico degli anarchici calabresi, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2010. Anche in questo caso l’accurato lavoro degli autori permette di affrontare con uno sguardo diverso una realtà meridionale, che si pone apparentemente ai margini di quella nazionale. Significativo il dato che descrive come la gran parte degli oltre 500 biografati (non si dica che gli anarchici calabresi sono pochi) abbia svolto la propria attività o nel Nord Italia o all’estero, soprattutto in Argentina, a riprova del tremendo peso che il fenomeno dell’emigrazione coatta ebbe nell’incompiuto processo di trasformazione della Calabria. L’analisi storica ad ampio spettro contenuta nella lunga introduzione dei due autori e il ricco apparato di indici tematici rendono ancora più interessante e stimolante l’approccio a questa ricerca. Una sorta di dizionario biografico, corredato dalla pubblicazione di numerosi documenti, illustrazioni e interessanti note cronologiche è il volume di Albino Bertuletti e Alberto Gotti, Anche noi eravamo storia. Alle origini dell’anarchismo bergamasco, vol. I, Bergamo, Centro Studi P. C. Masini e Spazio Anarchico Underground, 2010, frutto di una ricerca sui «bergamaschi attivi nei gruppi anarchici di Milano 1880-1900». Anche in questo caso c’è ragione di sorprendersi nel vedere come la bianchissima e bigotta bergamasca sia stata capace di dar vita a tanti fautori del progresso sociale e militanti del libero pensiero.

STORIA

Sono molti i testi che ripercorrono la storia dell’anarchismo, italiano e internazionale, partendo dalle prime fasi insurrezionali per giungere progressivamente ai maturi processi organizzativi degli anni più recenti.
Per comprendere appieno la genesi dei primi afflati libertari in Italia, si deve partire dalla fase risorgimentale, nella quale si affacciarono molte delle tematiche che sarebbero poi state sviluppate dal pensiero anarchico. L’autodeterminazione dei popoli, la lotta al potere temporale della Chiesa, la necessità dell’emancipazione dei ceti popolari furono infatti fra gli elementi pregnanti delle urgenze risorgimentali. Se ne coglie l’importanza, non sempre adeguatamente indagata, nel bel volume che riunisce gli atti di un recente convegno dedicato a Luigi Di Lembo, il nostro carissimo compagno e studioso recentemente scomparso. Elementi libertari nel Risorgimento livornese e toscano. Atti del convegno di studi di Livorno, 26 marzo 2010. In memoria di Luigi Di Lembo è il titolo del volume curato da Giuseppe Gregori e Giorgio Sacchetti, Prato, Pentalinea, 2012, che raccoglie tutte le relazioni, da quella di Fabio Bertini sulla natura profondamente libertaria del pensiero di Pisacane a quella di Natale Musarra dedicata ai patrioti siciliani esiliati in Toscana.

Pier Carlo Masini

Sicuramente ispirata al “colpo di mano” predicato dai mazziniani fu l’impresa che vide un pugno di internazionalisti, guidati da Cafiero e Malatesta, tentare di sollevare le plebi meridionali nel 1877. Si tratta della famosa Banda del Matese, che per alcuni giorni scorrazzò in questo massiccio fra Campania e Molise occupando municipi, bruciando carte bollate e sabotando i contatori necessari al calcolo della odiata tassa sul macinato. Le fasi di questa epica impresa, forse il momento più alto dell’azione dei primi internazionalisti, fu il soggetto di un classico del 1958 di Pier Carlo Masini, Gli Internazionalisti: la Banda del Matese (1876-1878), oggi riproposto per i tipi di Franco Di Sabantonio, Roma, 2009. Sullo stesso argomento il corposo lavoro di Bruno Tommasiello, La Banda del Matese (1876-1878). I documenti, le testimonianze, la stampa dell’epoca, Casalvelino, Galzerano, 2009, che riunisce la pressoché completa raccolta di testimonianze su quell’impresa: dalle impressioni dei protagonisti alle arringhe degli avvocati difensori dei processati, dalla ricostruzione dei fatti del procuratore Forni alle lettere dal carcere, dagli articoli dei giornali alla bellissima prefazione che Malatesta scrisse per l’opera di Max Nettlau, Bakunin e l’Internazionale in Italia, uscita in Svizzera nel 1928; prefazione nella quale uno dei massimi ispiratori dell’impresa propone interessanti considerazioni sia sulla Banda sia, più in generale, sull’attività della gloriosa Internazionale antiautoritaria italiana.
Alla luce del sostanziale fallimento, almeno sul piano dei risultati immediati, di queste esperienze insurrezionali si sviluppò, nell’ambito della Prima internazionale, una riflessione intesa a rivedere metodi e obiettivi della lotta sociale. Anche sotto l’impulso della celebre Lettera agli amici di Romagna nella quale Andrea Costa proponeva l’entrata nelle istituzioni, nacque il Partito Socialista Rivoluzionario Romagnolo, all’interno del quale convissero le due anime del primo socialismo. La sua storia, breve ma non per questo meno importante, è ricostruita con accuratezza da Emilio Gianni, La parabola romagnola del “partito intermedio”. I congressi del Partito Socialista Rivoluzionario Romagnolo (1881-1893), Milano, Pantarei, 2010, anche se a volte il giudizio del politico tende a sovrapporsi all’obiettività dello storico.
Come si sa, la nascita del Primo Maggio, giorno di lotta dedicato al lavoro, è strettamente legata alla tragica vicenda ottocentesca della bomba scoppiata nel corso di una manifestazione di lavoratori nella piazza di Haymarket a Chicago. Del fatto, chiara provocazione poliziesca, furono incolpati sette anarchici americani in gran parte di origine tedesca e cinque di questi furono condannati alla pena capitale e successivamente giustiziati. Ormai la storia è ampiamente nota e non può essere né ignorata né messa in sordina quando si vuole fare la storia di questo giorno. Ci riesce, invece, con abilità degna di miglior causa, Francesco Renda, che nel suo Storia del Primo Maggio. Dalle origini ai giorni nostri, Roma, Ediesse, 2009, tratta dei fatti di Chicago in ben… cinque delle quasi trecento pagine del suo lavoro.
È una prospettiva decisamente inusuale, tanto originale quanto suggestiva, quella da cui parte Maurizio Antonioli in Sentinelle perdute. Gli anarchici, la morte, la guerra, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2009, un libro denso di contenuti, nel quale il controverso ma costante rapporto tra “l’anarchico” e la prospettiva della morte viene scandagliato in tutte le sue componenti: dalla morte “bella e vendicatrice” che colpisce il tiranno a quella inutile e mostruosa sui campi delle battaglie, da quella cantata dalla retorica dannunziana a volte fatta propria anche da ambiti del movimento, a quella «di chi cade combattendo contro il tiranno: il titano, l’eroe, il martire». Decisamente opportuna questa ricognizione su una produzione retorica che non raramente viene ad interessarci. Sempre di Maurizio Antonioli, Figli dell’officina. Anarchismo, sindacalismo e movimento operaio tra Ottocento e Novecento, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2012. Si tratta di una raccolta di saggi sull’argomento di cui l’autore è un indubbio maestro, vale a dire il rapporto simbiotico ma spesso anche conflittuale fra anarchismo e sindacalismo rivoluzionario. Sono tanti i personaggi che si incontrano, figure ancora in grado di trasmettere qualcosa di più dei semplici fatti che li hanno visti protagonisti, qualcosa di intimamente legato alla forza e al valore dei loro ideali e del loro impegno. Riportarne alla luce l’esempio e il lavoro è l’obiettivo che questo libro raggiunge compiutamente.

Alex Butterworth

È passato abbastanza inosservato eppure, a mio parere, è uno dei testi più significativi usciti in questi ultimi tempi. Si tratta del complesso e sapiente studio di Alex Butterworth, Il mondo che non fu mai. Una storia vera di sognatori, cospiratori, anarchici e agenti segreti, Torino, Einaudi, 2011, che tratta degli intricati rapporti intercorsi negli ultimi decenni dell’800 fra i rivoluzionari di mezza Europa e le polizie e i servizi segreti tanto delle rare democrazie quanto delle numerose autocrazie dell’epoca. Sviluppato soprattutto sugli avvenimenti francesi (La Comune di Parigi e le sue conseguenze in termini di repressione), inglesi (il composito mondo dei rivoluzionari europei che lì confluivano), americani (l’accoglienza degli emigrati sovversivi) e russi (la lotta allo zarismo di populisti e anarchici) l’indubbio interesse del libro sta nel riuscire a ricostruire con ricchezza di documentazione le complicate e spesso sorprendenti relazioni che intercorrevano fra i rivoluzionari (in primis gli anarchici) e le forze istituzionali preposte al controllo della sovversione. L’autore, nonostante da buon britannico si conceda qualche affermazione opinabile, dipinge un quadro di grande interesse su questi intrecci, mostrando quanto fossero stretti, purtroppo spesso, anche i rapporti fra “guardie e ladri”. Vista la mole del volume, oltre 600 pagine, ci si potrebbe spaventare ma, parlandone per esperienza diretta, mi sento di consigliarlo. C’è solo da imparare!
Sempre sui rapporti conflittuali fra sovversione e “giustizia”, fra “malfattori” e sbirri, sono recentemente comparsi in libreria altri due ottimi volumi di valenti studiosi. Il primo, di Susanna Di Corato Tarchetti, Anarchici, governo, magistrati in Italia 1876-1892, Torino, Carocci, 2009, partendo dall’episodio della Banda del Matese, illustra i duri strumenti messi poi in atto da governo e magistratura per far fronte a una emergenza a cui ancora non si era preparati. Il passaggio dalla fase insurrezionale a quella più matura dell’organizzazione sociale viene indagato attraverso la lettura dei congressi locali e nazionali, sia quelli promossi dal nascente socialismo parlamentare sia quelli a cui dà vita l’anarchismo, ultimo quello di Capolago. E sono descritti, in parallelo, i numerosi processi che verranno istruiti in Italia, con le stesse finalità repressive ma con impostazioni diverse, dovute all’incertezza all’interno della magistratura su quali dovessero essere i metodi più efficaci per imbrigliare la sovversione. Di ambito più limitato, ma non per questo meno interessante, sono i fatti di cui scrive Piero Brunello nel suo Storie di anarchici e di spie. Polizia e politica nell’Italia liberale, Roma, Donzelli, 2009. Partendo dalle indagini sugli incontri clandestini dei sovversivi nel padovano, Brunello illustra i passaggi attraverso i quali la polizia, nell’inseguimento spasmodico di ogni forma di sovversione, viene affinando i suoi strumenti di controllo e d’indagine, dando vita a quelle forme di schedatura che troveranno piena realizzazione sotto il regime fascista. Le vicende di cui tratta hanno luogo fra Venezia, Padova, Monselice (allora uno dei centri più importanti del nascente Internazionalismo) e su tutto campeggia il famigerato Terzaghi, l’internazionalista che, al soldo della polizia, contribuirà a creare scompiglio fra le file degli anarchici, ma, al tempo stesso, renderà questi più consapevoli dello “sporco” gioco della repressione.
Quella stessa repressione che si accanisce contro Romeo Frezzi, il socialista anarchico romano morto “misteriosamente” nel carcere di Regina Coeli nel 1897. Accusato ingiustamente di complicità con il fallito regicida Acciarito, Frezzi dovette subire angherie e maltrattamenti, fino a essere “suicidato” dalle guardie carcerarie, coperte nel loro infame lavoro dalla direzione del carcere e dal potere politico, ostinatamente interessato a troncare ogni tentativo di riscatto delle masse popolari. Documenta questa amara storia, con passione e ricchezza di documentazione, Ferdinando Cordova in Alle radici del Malpaese. Una storia di potere nell’Italia di fine ’800, Roma, Manifestolibri, 2011. Del resto anarchici, comunisti, socialisti e sovversivi il carcere lo hanno ben conosciuto, non trascurando, spesso, di lasciare traccia del loro passaggio nelle celle che li avevano involontari ospiti. Lo testimonia un curioso studio, di notevole interesse anche per l’originalità del tema trattato, pubblicato dalle Edizioni ETS di Pisa nel 2010. Si tratta di Condannato perché nacque. I graffiti del carcere di Vicopisano tra Otto e Novecento, curato da Lorenzo Carletti, con prefazione di Massimo Carlotto. Illustrando le commoventi immagini dei graffiti conservati sui muri della prigione, l’autore riporta con dovizia di particolari tanto la spesso sgrammaticata – ma non per questo meno convincente – protesta scritta sulle pareti, quanto le succinte biografie degli autori di tali testimonianze: anarchici, socialisti, comunisti, mazziniani ma anche, qua e là, qualche ladruncolo o truffatore. Un lavoro insolito, che offre un quadro qui limitato a Vicopisano ma che avrebbe potuto essere “dipinto” sicuramente in tutte le carceri del Paese.
Il costante e contraddittorio rapporto fra violenza e anarchismo, uno dei topoi più significativi del movimento soprattutto in passato, è il tema affrontato da Erika Diemoz nel libro A morte il tiranno. Anarchia e violenza da Crispi a Mussolini, Torino, Einaudi, 2011. Scritto in forma inutilmente accattivante, se non a volte addirittura irritante, e in più parti con lacune e interpretazioni forzate di fatti, personaggi e avvenimenti, il testo ha comunque un suo interesse soprattutto quando affronta la figura di Emidio Recchioni, l’anarchico marchigiano che fece fortuna a Londra e che dalla capitale britannica fornì incessantemente aiuto, anche materiale, ai tentativi di attentato a Mussolini. Stesso tema, ma con risultati più scarsi, quello trattato da Massimo Centini in Il re è morto, viva il re… Attentati anarchici: quando la politica diventa crimine, Torino, Ananke, 2009, che va a ripescare le teorie lombrosiane per tentare di interpretare in chiave di antropologia criminale le motivazioni sociali, giuste o sbagliate che fossero, che spingevano gli anarchici ad attentare alla vita dei potenti.
Fra i personaggi citati da Diemoz compare Luigi Lucheni, l’attentatore della famosa principessa asburgica Elisabetta d’Austria, più nota come principessa Sissi, anche per la serie di film a lei dedicati negli anni Sessanta. Le Edizioni Anarchismo di Trieste hanno pubblicato nel 2009 l’interrogatorio a cui fu sottoposto Lucheni dopo l’atto, in un volume dal titolo Come e perché ho ucciso la principessa Sissi, interessante in quanto ne esce una figura meno “spostata” di quanto la si è rappresentata, anche perché il suo fu senz’altro il meno compreso e meno comprensibile fra gli attentati antimonarchici compiuti dagli anarchici in quel periodo.

Numero unico in commemorazione di Gaetano Bresci

Ben altra rilevanza ebbe indubbiamente, il 29 luglio 1900, il gesto di Gaetano Bresci, il riuscito attentatore del re d’Italia Umberto Primo. Come appare dalla lettura del testo di Massimo Ortalli, Gaetano Bresci, tessitore anarchico e uccisore di re, Roma, Nova Delphi, 2011, il gesto del vendicatore dei popolani milanesi uccisi dalle cannonate di Bava Beccaris nel 1898 suscitò reazioni controverse negli ambienti dell’anarchismo italiano e internazionale, e le stesse conseguenze in ambito istituzionale non furono solo quelle repressive che ci si sarebbe potuto attendere, ma segnarono anche una netta cesura con la cieca e reazionaria età Crispina. Il volume è impreziosito dalla bella introduzione di Ascanio Celestini, che coniuga felicemente visione storica e maestria narrativa, e si conclude con un apparato di documenti che comprende l’arringa difensiva di Saverio Merlino, lo scritto dedicato al regicida da Amilcare Cipriani e infine, a corollario, il famoso articolo con il quale Errico Malatesta contribuì, in un certo senso, a mettere le cose al loro posto.
Pier Carlo Masini pubblicò, anni fa, i “primi” due volumi sulla storia dell’anarchismo italiano, il primo: Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta e il secondo: Storia degli anarchici italiani nell’epoca degli attentati. Oggi Fabrizio Giulietti ha aggiunto il terzo volume ideale, Storia degli anarchici italiani in età giolittiana, Milano, Franco Angeli, 2012. Il periodo preso in esame va da inizio secolo alla vigilia della Prima guerra mondiale, e affronta alcuni dei temi cruciali dei processi organizzativi e della storia dell’anarchismo italiano: dall’affermazione delle tendenze individualiste e antiorganizzatrici alla costituzione dell’Unione Sindacale Italiana, dalla mobilitazione antimilitarista ai moti della Settimana rossa. Centrato sulla dialettica individualisti – organizzatori, disegna un quadro approfondito dei complessi rapporti, a volte conflittuali ma anche solidaristici, fra gli esponenti delle varie anime del movimento. Un arco maggiore di anni è preso in esame da Roberto Carocci nel libro Roma sovversiva. Anarchismo e conflittualità sociale dall’età giolittiana al fascismo (1900-1926), Roma, Odradek, 2012, che giunge infatti fino al 1926, l’anno delle fascistissime leggi speciali e quindi della soppressione di ogni forma di opposizione al regime. Sono tanti i protagonisti di un anarchismo tendenzialmente organizzatore e fortemente radicato negli ambienti dei quartieri più popolari della capitale, come tante sono le iniziative e le tematiche descritte con dovizia di informazioni dall’autore, e il quadro tracciato è quello di una presenza libertaria costante e significativa nell’ambito del sovversivismo romano, presenza temuta e quindi fortemente contrastata tanto dal potere statale quanto dalla reazione fascista.
Di tutt’altro spessore il pamphlet Gli anarchici della Belle Époque pubblicato da Le Lettere di Firenze nel 2010, che raccoglie una serie di ritratti che Giovanni Ansaldo pubblicò su giornali conservatori quali «Il Borghese» e «Il Mattino» negli anni Cinquanta e Sessanta. Lo stile di quello che fu giudicato uno dei migliori giornalisti del tempo è piacevole e la lettura è gustosa, e va detto che anche i contenuti, pur espressione di un convinto e sincero conservatorismo, sono meno peggio di quanto si sarebbe potuto pensare. Restiamo ai primi anni del secolo scorso, al 1909, l’anno in cui il regime spagnolo, su sollecitazione del suo clero, il più reazionario d’Europa, condannava a morte l’educatore anarchico Francisco Ferrer, e con lui la bellissima esperienza della Escuela Moderna. L’abominio di quella condanna non passò inosservato e in tutto il continente furono numerosissime le dimostrazioni di protesta popolare, sfociate, spesso, in violenti scontri. Delle reazioni in Italia rendono conto i numerosi saggi contenuti nel numero 4 dei «Quaderni della Rivista Storica dell’Anarchismo», uscito in occasione del 1° Centenario della morte di Ferrer. Curato da Maurizio Antonioli, in collaborazione con J. Torre Santos e Andrea Dilemmi, Contro la Chiesa. I moti pro Ferrer del 1909 in Italia, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2009, questo volume mostra come le proteste non lasciarono zone grigie ma si svolsero con la stessa radicale intensità in tutto il paese, a riprova di quanto i sentimenti anticlericali fossero, allora, ben più sentiti e partecipati che non oggi. Un esempio della vivacità di questo sentire anticlericale lo fornisce Edoardo Puglielli nel breve saggio Anticlericalismo e laicità nel socialismo aquilano 1894-1914, Chieti, Centro Studi Libertari Di Sciullo, 2009, dove descrive uno spirito che albergava non solo, come immaginabile, fra gli anarchici, ma anche fra socialisti, repubblicani, massoni e, più in generale, fra gli spiriti liberi.

Francia, anni '20 - Garibaldini italiani e spagnoli

Gli anni Venti del Novecento furono anni particolarmente intensi, che videro il succedersi di avvenimenti di grande importanza e dalle conseguenze durature. I lutti della Grande guerra avevano fortemente esasperato gli animi e il popolo non era disposto a sopportare altre sofferenze. Quindi era pronto a opporsi a quanto avrebbe potuto portare nuove disgrazie. Un esempio di questa combattività è l’oggetto dello studio di Ruggero Giacomini, La rivolta dei bersaglieri e le Giornate Rosse. I moti di Ancona dell’estate 1920 e l’indipendenza dell’Albania, Ancona, Centro culturale La Città Futura, 2010. Ad Ancona la presenza del movimento anarchico organizzato era particolarmente significativa e infatti, alla guida di questa rivolta popolare, nata dall’ammutinamento dei bersaglieri di stanza in città che rifiutavano di partire per una nuova e assurda impresa guerresca alla volta dell’Albania, troviamo numerosi anarchici perfettamente inseriti nel combattivo tessuto sociale della città: il “capo” dei bersaglieri ammutinati, non a caso, era soprannominato “Malatesta”. Va dato merito a Giacomini di aver riportato alla luce avvenimenti tanto importanti nella loro carica simbolica quanto poco studiati dalla storiografia ufficiale. Un altro episodio significativo ma poco studiato è quello del “garibaldinismo”, ovvero quella accolita di antifascisti delle diverse scuole – fortissima la presenza dei fuoriusciti anarchici – che verso la metà degli anni Venti cercò di combattere in armi il fascismo in Italia e la dittatura di Primo De Rivera in Spagna. L’ambiente era fortemente intossicato dalla presenza di agenti provocatori prezzolati dai due regimi e lo stesso Ricciotti Garibaldi giocò un ruolo ambiguo in tutta l’impresa. Nonostante le difficoltà interpretative, Giovanni C. Cattini ricostruisce con precisione questo complesso mosaico di personaggi, fatti e aspirazioni frustrate nel libro Nel nome di Garibaldi. I rivoluzionari catalani, i nipoti del Generale e la polizia di Mussolini (1923-1926), Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2010.

L'anarchico Luigi Lucheni durante l'arresto

Dopo la fine della Prima guerra mondiale sono due gli avvenimenti particolarmente importanti che interessano l’anarchismo italiano, entrambi del 1920: la fondazione dell’Unione Anarchica Italiana, l’organizzazione che finalmente raccoglie quasi tutto il movimento italiano, e la nascita del quotidiano «Umanità Nova», che sotto la direzione di Errico Malatesta porterà per due anni la voce degli anarchici a fianco delle lotte che li vedono protagonisti su tutto il territorio. Sulla prima fase della vita di questo importantissimo periodico, che continuò a uscire all’estero con numerosi numeri unici, è uscito un libro curato da Franco Schirone, Cronache anarchiche. Il giornale Umanità Nova nell’Italia del Novecento (1920-1946), Milano, Zero in Condotta, 2010, corredato di due utili cd con la riproduzione di tutti i numeri usciti nel periodo preso in esame. Nei dodici saggi che contiene si attraversa non solo la storia del giornale, ma anche quella del movimento fra le due guerre, perché la vita dell’uno e dell’altro, per forza di cose, sono procedute in parallelo. Un lavoro particolarmente importante, che va ad inserirsi nel novero dei saggi che in questi ultimi anni stanno ricostruendo, in tutta la loro complessità, la vita e l’esperienza dell’Unione e della Federazione Anarchica Italiana. Conclusa la seconda guerra, liberata l’Italia dal fascismo, «Umanità Nova» riprende le pubblicazioni, ora come settimanale e non più quotidiano, ma con una regolarità che continua, ininterrotta, fino ai giorni nostri. Arriva fino al 1953 lo studio di Massimiliano Ilari, Parole in libertà. Il giornale anarchico Umanità Nova (1944-1953), Milano, Zero in Condotta, 2009, un lavoro complesso perché affronta le molte problematiche che interessarono la Federazione negli anni della ricostruzione e della ripresa. Si sa che furono anni difficili per gli anarchici italiani, stretti fra la dialettica della guerra fredda e il bisogno di individuare una terza via all’interno della quale trovare uno spazio vitale. Ilari, con una attenta lettura del giornale, riesce a districare con abilità e competenza i nodi che avviluppavano la nostra attività e ricostruisce il percorso pratico e teorico che permise al movimento di conservare e sviluppare la propria identità, non solo con l’attività quotidiana nella società, ma anche attraverso le pagine del giornale.
Molto utile, per comprendere meglio la storia dell’anarchismo anche in alcuni dei suoi aspetti meno scandagliati, il libro di Emanuela Minuto, Frammenti dell’anarchismo italiano (1944-1946), Pisa, ETS, 2011, un nuovo e importante tassello nell’analisi e nella ricostruzione storica delle complesse dinamiche attraverso le quali il movimento italiano rinnovò il proprio ruolo, dal partigianato al rientro degli esuli, dal rapporto con le forze della sinistra alla riproposta di un sindacalismo alternativo. Interessante e “istruttivo” l’occhio esterno ampiamente citato da Minuto, quello del funzionario del Pci incaricato di seguire, per riferirne alla propria direzione, i lavori congressuali che videro la fondazione della Fai.

Giorgio Sacchetti

Anche l’ottimo lavoro di Giorgio Sacchetti, Lavoro, democrazia, autogestione. Correnti libertarie nel sindacalismo italiano (1944-1969), Roma, Aracne, 1912, contribuisce a fornire nuovi elementi interpretativi della presenza anarchica e libertaria nella società italiana del secondo dopoguerra.
L’interrogativo sul che fare a livello sindacale, se far nascere un sindacato alternativo o privilegiare la presenza nella Cgil, è stata una costante che non ha mai cessato di incidere su tattica e strategia del movimento. Senza che una scelta venisse necessariamente a escludere l’altra. E infatti, a fianco delle periodiche riproposte dell’Unione Sindacale Italiana, fu altrettanto importante la presenza degli anarchici, anche a livello dirigenziale, nei sindacati confederali. Le numerose appendici documentarie e la scelta di giungere fino ai momenti dell’Autunno caldo, rendono ancora più interessante e attuale questo lavoro.
Quello di Luca Lapolla, Gli anarchici di Piazza Umberto. La sinistra libertaria a Bari negli anni ’70, Fano, Centro Documentazione Franco Salomone, 2001, è uno fra i pochi testi che trattano degli anni più vicini a noi.
E per questo la sua lettura è particolarmente coinvolgente, perché parla di storie ed esperienze che ci hanno visto partecipi. Gli anni Settanta sono stati anni tanto intensi quanto, spesso, difficili, e anche la militanza risentiva delle molte contraddizioni che attraversavano tutti i movimenti. Non escluso, naturalmente, quello anarchico. Lo si comprende bene leggendo tanto il saggio di Lapolla quanto le numerose interviste – quanto significative! – fatte a quelli che allora furono militanti dell’Organizzazione Rivoluzionaria Anarchica pugliese.

MISCELLANEA

Restano da prendere in considerazione alcuni testi che, per le caratteristiche e gli argomenti trattati, fanno un po’ storia a sé. Innanzitutto il libro uscito ultimamente, per mano di un anarchico, sul tema specifico della crisi economica che sta attanagliando il mondo occidentale. Si tratta dell’interessante volume di Toni Jero, La grande crisi dei mutui, Bologna, L’autore, 2009. Anche se pubblicato tre anni fa, il libro mantiene ancora tutta la sua attualità e riesce a farci capire un po’ meglio, da un punto di vista non assoggettato alle regole della grande finanza, che cosa è successo, cosa sta succedendo e anche cosa potrebbe succedere. L’autore è un esperto di questi temi e con questo agile contributo fornisce non solo notizie ma soprattutto chiarificanti spiegazioni.
Negli ultimi tempi si è imposta con evidenza la questione dei generi, portando con sé, molto spesso, la drammaticità di chi si trova a vivere una condizione non ancora compresa e sedimentata nella società. Lo testimonia Alex B. nel libro La società de/generata. Teoria e pratica anarcoqueer, Torino, Nautilus, 2012, adottando uno pseudonimo dietro al quale si nasconde una transgender che con lucidità esamina dapprima le cause e le responsabilità dell’oppressione, poi affronta i nodi necessari alla introspezione di se stessi, per finire con la proposta di strategie di resistenza e attacco. Il tutto con uno sguardo libertario e libero da condizionamenti.

Furio Biagini

Tutt’altro argomento quello trattato da Furio Biagini, che affronta con sicurezza un tema decisamente insolito e, a mio parere, piuttosto ostico. Si sa che numerosi sono stati gli ebrei che hanno dato un contributo fondamentale all’anarchismo, da Emma Goldman a Alessandro Berkman, da Volin a Rudolf Rocker, tanto per citarne alcuni, senza considerare l’adesione massiccia dei proletari ebrei londinesi e di New York al movimento. Ora Biagini, nel suo Torà e libertà. Studio sulle corrispondenze tra ebraismo e anarchismo, Lecce, I libri di Icaro, 2008, si propone di mostrare i nessi, non solo materiali, fra la religione, e quindi la più profonda cultura ebraica, e il pensiero libertario. Confesso che non ho sufficienti elementi per valutare con precisione questo studio, ma conoscendo la serietà di studioso dell’autore, sono sicuro che le corrispondenze individuate abbiano consistenza e fondamento.

Luigi Balsamini

Negli ultimi anni gli anarchici hanno preso coscienza dell’enorme importanza della documentazione di studio e propaganda prodotta nella loro più che centenaria attività e hanno deciso di conservare e valorizzare tale materiale. Così sono nati, uno dopo l’altro, numerosi archivi che stanno svolgendo una funzione quanto mai importante nella conservazione e trasmissione del patrimonio storico e ideale del movimento. A mettere al corrente di questa documentazione ci ha pensato Luigi Balsamini, che dopo aver scandagliato gli archivi più consistenti, ha dato alle stampe Fragili carte. Il movimento anarchico nelle biblioteche, archivi e centri di documentazione, Manziana, Vecchierelli, 2009. Sono molte le realtà descritte con dovizia di informazioni, dall’importantissimo Istituto Internazionale per la Storia Sociale di Amsterdam (IISG) ai più piccoli centri di documentazione gestiti da gruppi e militanti, ed è interessante notare come questi coprano il territorio italiano a macchia di leopardo, a testimonianza di una coscienza ormai pienamente diffusa.
E, per finire, una autocitazione. Di Massimo Ortalli e Luigi Pirondini è uscito nel 2009, per le edizioni Unicopli di Milano, Bibliografie ragionate. Anarchismo, un volumetto che raccoglie circa un centinaio di schede bibliografiche sull’anarchismo e sul pensiero libertario, riproducendo parzialmente quanto gia pubblicato nei precedenti dossier e aggiungendovi altri testi che oggi sono parzialmente riportati in questo terzo numero di Leggere l’anarchismo. In attesa, ovviamente, di nuovi testi da segnalare.

Massimo Ortalli

Alcune case editrici anarchiche e libertarie

Archivio Aurelio Chessa
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fax: 022551994
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Elèuthera editrice
via Rovetta, 27 - 20127 Milano
tel. 02 26 14 39 50
fax 02 28 04 03 40
c. p. 17002
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Giuseppe Galzerano Editore
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giuseppe.galzerano@tiscalinet
sito (catalogo):
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Gwynplaine
Via Fontanelle, 4
60021 Camerano
gwynplaine.edizioni@gmail.com

Nautilus
Casella Postale 1311
10100 Torino
fax 011 6505653
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Nova Delphi
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Ortica
Via Aldo Moro 43/D
04011 Aprilia (Rm)
info@orticaeditrice.it

Sicilia Punto L
Giuseppe Gurrieri
vico Leonardo Imposa 4
97100 Ragusa
info@sicilialibertaria.it

 

Chi non riuscisse a
rintracciare gli indirizzi di
altre case editrici citate
nel testo, può rivolgersi
direttamente al curatore
Massimo Ortalli
massimo.ortalli@acantho.it

che si rende disponibile
anche per ulteriori
informazioni di carattere
bibliografico.

 

 

Sul sito arivista.org sono disponibili gli indici relativi ai tre dossier “Leggere l’anarchismo”.
Si tratta degli indici dei nomi e dei titoli. Più avanti i due indici saranno completati con i dati relativi a questo terzo dossier. Sempre solo sul nostro sito.

Come il primo dossier, uscito nell’ottobre 2005 (dentro “A” 311) e il secondo, uscito nel maggio 2009 (dentro “A” 344), il terzo dossier Leggere l’anarchismo 3. La storia, le storie, il pensiero. (2009-2012), contiene la presentazione, ordinata per aree tematiche, dei libri sull’anarchismo usciti negli ultimi tre anni: oltre duecentocinquanta titoli.
A realizzare questi fondamentali strumenti per la conoscenza e la diffusione dell’editoria e della cultura anarchica è Massimo Ortalli, uno dei responsabili dell’Archivio Storico della FAI (Federazione Anarchica Italiana), nostro storico collaboratore nel doppio senso della definizione: storico perché collabora con “A” da molto tempo e storico perché è spesso (ma non solo) la storia l’ambito della sua presenza sulla rivista.
Come i precedenti, anche quest’ultimo, è stato concepito anche in un’ottica di diffusione della cultura anarchica, a disposizione di chi come noi è convinto che la lettura resti la base per la formazione della cultura individuale e sia la precondizione per un impegno sociale pienamente cosciente.